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[post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, cosa esprimono e come si costruiscono le proposizioni limitative? Vediamolo insieme.
Buona lettura
Prof. Anna
Le proposizioni limitative sono proposizioni subordinate che pongono un limite, una restrizione a quanto si dice nella reggente, o riconducendolo nell'ambito di conoscenze soggettive o precisando quanto può risultare generico.
Vediamo questi esempi:
- Luca, a quanto ne so, è in ferie;
- domani c'è sciopero, a quanto ho sentito alla radio;
- mia figlia si è iscritta all'università; quanto a laurearsi dovrà passare almeno qualche anno;
- tutto questo è facile a dirsi.
In questi esempi la proposizione subordinata esprime il punto di vista di chi parla o di altri (a quanto ne so; a quanto ho sentito), o richiama l'attenzione su un particolare (quanto a laurearsi; a dirsi). In questo modo limita l'ampiezza della validità di quanto si dice nella reggente.
Le proposizioni limitative possono essere esplicite o implicite.
Limitative esplicite
Gli elementi che le introducono sono:
- per quanto, a quanto + indicativo, + congiuntivo o + condizionale: per quanto ne so, sono partiti stamattina; per quanto avesse lavorato, non era soddisfatto; a quanto parrebbe, le cose non sono andate bene;
- per quel che, da quel che, a quel che, per quel + aggettivo quantitativo + che + indicativo o congiuntivo: per quel poco che ricordo, non lo abbiamo incontrato; per quel che ne sappia, di guai ne ha abbastanza;
- che + congiuntivo con i verbi sapere, ricordare, risultare, rammentare: Laura, che io sappia, non si è ancora fatta viva.
Limitative implicite
La forma implicita si ha con l'infinito preceduto da
quanto a, in quanto a:
in quanto a disegnare, ero la migliore.
Altri modi per costruire una limitativa implicita con l'infinito sono:
- a o in (anche articolate), per + infinito attivo o riflessivo, in dipendenza da un aggettivo (bravo, abile, adatto, atto, duro, incline, indispensabile, restio ecc.) o da un sostantivo o da un verbo, in base al cui significato si sceglie l'uno o l'altra preposizione: Laura è brava a cantare; il divertimento sta nell'ascoltare;
- a o da + infinito che acquista senso passivo, oppure che è costruito con si passivante, in dipendenza da aggettivi che esprimono giudizio (facile, difficile, bello, brutto, strano, meraviglioso, splendido, orrendo ecc.): è uno spettacolo bello a vedere ( = essere veduto); è uno spettacolo bello a vedersi; non è un libro difficile da leggere;
- per + l'infinito dello stesso verbo della reggente che è posticipata; nel parlato per può anche mancare: per cucinare, cucina bene, di solito; Marta? Scrivere, scrive benino.
Per approfondire:
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2020/02/06/il-complemento-di-limitazione/
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Intercultura blog, quando usare
mettersi e quando invece
metterci? Vediamolo insieme.
METTERSI
La forma
mettersi può essere:
⇒ transitiva pronominale e significare:
- indossare: si è messa il cappotto;
- infilarsi seguita dalla preposizione in con valore intensivo: si mise le mani in tasca.
Può formare
alcune espressioni:
- mettersi in testa qualcosa → convincersi di qualcosa, ritenere vero qualcosa (seguito da che): si è messo in testa che la moglie lo tradisca;
- mettersi il cuore in pace / mettersi l'animo in pace → rassegnarsi: mettiti il cuore in pace: non otterrai ciò che vuoi;
⇒
riflessiva e significare: assumere una determinata posizione o collocazione:
mettersi a sedere, mettersi in piedi, mettersi a tavola. Con questo significato forma
diverse espressioni:
- mettersi in cammino, mettersi per strada → incamminarsi;
- mettersi in fuga → fuggire;
- mettersi in piedi → rizzarsi;
- mettersi al lavoro → iniziare a lavorare con impegno;
- mettersi sotto → si usa in un linguaggio colloquiale col significato di: darsi da fare, impegnarsi con decisione in qualcosa: per portare a termine l’opera mi sono messo sotto;
- mettersi in vista → farsi notare;
- mettersi contro qualcuno o qualcosa → contrapporsi;
- mettersi di traverso → assumere una posizione che costituisce un ostacolo, anche in senso figurato: essere d'ostacolo.
Significa anche
vestirsi, abbigliarsi seguito dalla preposizione
in: mettersi in costume; mettersi in abito da sera; mettersi in ghingheri (
con abiti e acconciature eleganti, ricercati).
Mettersi può anche significare
unirsi seguito dalla preposizione
con:
mettersi con qualcuno, mettersi insieme vuol dire iniziare una relazione con qualcuno.
⇒
intransitiva pronominale col significato di volgersi verso un determinato esito (vediamo come si mettono le cose):
- si mette bene, si mette male → la situazione si evolve in senso negativo o positivo;
- mettercisi → sopravvenire, intervenire, solitamente in senso negativo: a un certo punto ci si è messa anche la pioggia; non mettertici anche tu!
Col significato di
cominciare seguita da
a + infinito:
mi metto a studiare (comincio a studiare), anche impersonale:
si mette a piovere; mettersi vuol dire anche
disporsi a fare qualcosa: mettersi alla ricerca di qualcosa; mi metto al lavoro.
METTERCI
La forma verbale
metterci può significare:
- mettere in qualcosa → mettici un po' di sale;
- dedicare a qualcosa → metterci tutto il proprio impegno;
- impiegare un determinato tempo → "Quanto tempo ci metti ad arrivare?" "Ci metto un'ora".
Alcune espressioni con
metterci:
- metterci del proprio (del mio, del suo, del loro ecc.) → dare il proprio personale contributo, usato anche ironicamente: ci hai messo del tuo nel rovinarmi la serata; anche, aggiungere particolari soggettivi: nel descrivere l'accaduto ci ha messo del suo;
- metterci la faccia → esporsi in prima persona;
- metterci la firma → accettare, accogliere o immaginare una possibilità con entusiasmo: un lavoro cosi? ci metterei la firma!;
- mettercela tutta, impegnarsi al massimo → speriamo bene, io ce l'ho messa tutta.
Per approfondire:
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/10/27/i-molti-significati-del-verbo-mettere-mettere-in/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/12/15/i-molti-significati-del-verbo-mettere-mettere-a/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2015/05/21/i-molti-significati-del-verbo-mettere/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2011/12/01/uso-di-volercie-metterci/
[post_title] => I molti significati del verbo "mettere": "mettersi" e "metterci"
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Il prossimo è un esercizio su alcuni complementi: sapete riconoscerli?
Per ripassarli:
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2023/01/26/il-complemento-di-vocazione/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/06/09/complemento-di-compagnia-complemento-di-esclusione-e-complemento-di-relazione/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/11/17/complemento-di-qualita/
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Il prossimo esercizio è sull'univerbazione: come si scrivono le seguenti parole?
Per un rapido ripasso, leggete qui:
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Intercultura blog, è il momento di verificare le nostre conoscenze.
Chissà come andrà questi test!
In bocca al lupo!
Prof. Anna
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Intercultura blog, capita spesso di avere dubbi sulla grafia di parole formate dall'unione di più elementi.
Si scrive a posto o apposto? Se mai o semmai? Cerchiamo di fare chiarezza.
Buona lettura!
Prof. Anna
Quando due o più elementi si uniscono graficamente si parla di
univerbazione.
L'univerbazione è un processo per il quale due elementi semantici distinti si fondono in un unica parola. Nell'italiano contemporaneo si ha la tendenza a unire parole che nell'Ottocento erano sentite e scritte come distinte: il poeta Giosuè Carducci, ad esempio, scriveva abitualmente
non di meno, fin che, non ostante, oggi invece si usano le corrispondenti forme univerbate
nondimeno, finché, nonostante. La tendenza è quella a unire le due parole quando il valore dei singoli elementi non è più percepito in maniera netta e distinta:
non ostante (in origine, participio presente di
ostare) diventa
nonostante. Solitamente più una parola è frequente nell'uso e più si afferma la variante univerbata: ad esempio sono più comuni le forme
buonuscita,
malessere e
benessere rispetto alle forme separate,
apposta prevale su
a posta come
addosso su
a dosso.
A volte l'unione dei due elementi è preceduta dal fenomeno del raddoppiamento sintattico, cioè l'intensificazione della consonante iniziale del secondo termine di una sequenza e questo poi trova espressione grafica:
così detto - cosiddetto; e come - eccome; se no - sennò.
Esempi di univerbazione dopo il raddoppiamento sintattico:
- appena, chissà, davvero, evviva, fabbisogno, frattanto, giammai, lassù, macché, neppure, quaggiù, semmai, sennonché, suvvia, tressette;
- dopo le forme prefissali contra e sopra: contraddire, contrattempo, soprattutto, sopracciglio, sopralluogo;
- una forma verbale all'imperativo seguito da un pronome: dammi, fallo (Congiuntivo esortativo e imperativo con i pronomi | Zanichelli Aula di lingue).
A volte si può percepire come parola unica quella che è una sequenza di parole autonome, come ad esempio
più che altro oppure
a posto che, a differenza di
apposta, non ammette univerbazione.
Spesso la grafia separata e quella univerbata convivono nell’uso contemporaneo:
innanzi tutto - innanzitutto,
per lo più - perlopiù; su per giù - suppergiù; caso mai - casomai; a lato - allato; oltre modo - oltremodo; oltre misura - oltremisura. Anche la funzione della parola può fare la differenza, ad esempio le due grafie
se mai e
semmai possono essere usate nei due valori della parola (avverbio e congiunzione), ma è più comune la grafia univerbata
semmai quando ha funzione di avverbio col significato di
caso mai (semmai verrò a piedi), mentre quando ha valore di congiunzione è più frequente la grafia separata
se mai (se mai arrivasse il medico, chiamatemi).
Ci sono casi in cui il processo di univerbazione sembra essere in atto, ma non è ancora pienamente accettato dalla norma, come ad esempio
vabbene (va bene) in particolar modo quando ha valore di avverbio nel senso di
d'accordo ed
eppoi (e poi).
Fonti:
Luca Serianni,
Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET 1989
https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/il-processo-di-univerbazione-o-univerbizzazione-nellitaliano-contemporaneo/192
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Care lettrici e cari lettori di
Intercultura blog, come state? Ho richiamato la vostra attenzione per mezzo del
complemento di vocazione. Vediamo insieme come si presenta e cosa esprime.
Buona lettura!
Prof. Anna
Il complemento di vocazione svolge la funzione di appello o di richiamo di attenzione della persona (o entità animale o personificata) a cui ci si rivolge individuandola per nome o mediante un appellativo che la distingue. Indica quindi la persona, l’animale o la cosa a cui ci si rivolge in un discorso diretto.
Il vocativo può essere costituito:
- dal nome dell'interpellato: Carlo, come stai?;
- dal termine che individua il tipo di relazione sociale, spesso seguito dal cognome o dal nome: signora, signore, dottore, professor ecc.;
- dal pronome di seconda persona singolare o plurale , familiare o di cortesia: tu, voi, lei, loro;
- da un appellativo affettivo: caro, tesoro, amore, dolcezza ecc.
Il complemento di vocazione è un complemento indiretto ma non è introdotto da alcuna preposizione, dal punto di vista strutturale è isolato dal resto della frase. Tale isolamento è segnato nel parlato con una particolare modulazione della voce (fra esclamazione e domanda); nello scritto invece per mezzo della punteggiatura.
Se il complemento di vocazione si trova:
- all'inizio o alla fine della frase, è isolato per mezzo di una virgola, posta rispettivamente prima o dopo: Prego, signora!, Quanto mi manchi, amore mio!;
- all'interno della frase, è isolato per mezzo di due virgole: Ciao, Francesca, come stai?; Allora, professore, come sono andata?
Alcune precisazioni:
- il complemento di vocazione può essere preceduto da interiezioni o espressioni di richiamo di attenzione dell'interlocutore, come: o ,ehi, ehilà, ohè (non propriamente cortesi), (mi) scusi, senta, per favore, per cortesia, abbi (abbia) pazienza; questi elementi sono presenti per la vera e propria funzione di appello: quando ancora la persona a cui si rivolge la parola non è parte della situazione comunicativa in cui si vuole introdurla;
- il complemento di vocazione può essere accompagnato da un aggettivo possessivo che generalmente segue il vocativo: amico mio, figlioli miei, Dio mio. Se però il possessivo è con un altro aggettivo è per lo più anteposto: mio caro amico, miei bravi scolari;
- nel linguaggio letterario il complementi di vocazione è molto comune ed è alla base della figura retorica dell'apostrofe, che consiste nel rivolgere il discorso in tono concitato a persona o cosa personificata: Ahi Pisa, vituperio de le genti (Dante Inf. XXXIII, 79).
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Intercultura blog,
di cosa parleremo oggi? Chissà!
Buona lettura!
Prof. Anna
La parola
chissà è il risultato dell'unione di due elementi:
chi e
sa; unendosi si ha il raddoppiamento della consonante iniziale del secondo elemento (sa):
chissà. Si tratta quindi della frase interrogativa
chi sa? che, cristallizzandosi, ha assunto valore avverbiale.
Chissà è un avverbio che:
- può esprimere un dubbio, una perplessità, incertezza e talvolta una vaga speranza; viene anteposto a pronomi interrogativi o congiunzioni come se, quando, mai, dove, come, chi, che, cosa ecc. e introduce frasi che sono apparentemente interrogative indirette, in realtà sono esclamative, per via dell'intonazione con cui vengono pronunciate e nella scrittura per via dell'uso del punto esclamativo (e non interrogativo): chissà chi è!; chissà come finirà; chissà cosa voleva!; chissà se ci vedremo ancora;
- può sostituire un'intera frase con il significato di forse, probabilmente, può darsi; usato come inciso oppure anteposto o posposto alla frase, ne rafforza il contenuto di ipotesi: chissà, può essere stato lui; era convinto, chissà, di fare una buona azione; forse tra un'ora avrò finito, chissà. Talvolta si usa per eludere risposte più impegnative: "Verrai anche tu?" "Chissà!".
Chissà forma anche alcune locuzioni:
- chissà che ⇒ locuzione pronominale indefinita invariabile; indica qualcosa di indeterminato, di non ben definito o ironicamente qualcosa di eccessivo, di esagerato: vogliono chissà che!; sembrava chissà che invece era una semplice influenza; è anche locuzione aggettivale indefinita con gli stessi significati: ora ci daranno chissà che multa!; credeva di aver comprato chissà che rarità e invece era una fregatura!;
- chissà chi ⇒ locuzione pronominale indefinita invariabile; indica una persona indeterminata o sconosciuta o, ironicamente, qualcuno di scarsa importanza e notorietà: quei soldi li avrà vinti chissà chi; crede di essere chissà chi;
- chissà come ⇒ è una locuzione avverbiale; indica un modo imprecisato, non ben definito: è riuscito a fuggire chissà come;
- chissà dove ⇒ locuzione avverbiale che indica dubbio, incertezza riguardo a un luogo o a una direzione: se ne è andato chissà dove; abita chissà dove;
- chissà perché ⇒ indica dubbio, incertezza riguardo al motivo o alla causa di qualcosa: se n'è andata chissà perché;
- chissà quale ⇒ locuzione pronominale e aggettivale indefinita invariabile, indica qualcosa di non ben definito: avrà trovato delle scuse, chissà quali!; avrà combinato chissà quale pasticcio!;
- chissà quando ⇒ è una locuzione avverbiale che indica dubbio, incertezza riguardo al tempo entro cui qualcosa deve avvenire: partiremo chissà quando;
- chissà quanto ⇒ locuzione avverbiale, indica dubbio, incertezza riguardo alla quantità o all’entità di qualcosa: sarà costato chissà quanto!;
- chissà mai ⇒ locuzione avverbiali, esprime incertezza o vaga speranza: chissà mai che non sia vero.
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volere, potere, dovere, sapere è possibile usare sia l’imperfetto sia il passato prossimo a seconda di quello che si vuole comunicare:
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Nel prossimo esercizio devi indicare se il risultato dell'azione è certo o è incerto.
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Ricordate il significato delle espressioni formate con il verbo mettere e la preposizione a? Per ripassare questo argomento prima di affrontare il test, leggete qui:
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Intercultura blog,
cosa esprimono e come si costruiscono le proposizioni limitative? Vediamolo insieme.
Buona lettura
Prof. Anna
Le proposizioni limitative sono proposizioni subordinate che pongono un limite, una restrizione a quanto si dice nella reggente, o riconducendolo nell'ambito di conoscenze soggettive o precisando quanto può risultare generico.
Vediamo questi esempi:
- Luca, a quanto ne so, è in ferie;
- domani c'è sciopero, a quanto ho sentito alla radio;
- mia figlia si è iscritta all'università; quanto a laurearsi dovrà passare almeno qualche anno;
- tutto questo è facile a dirsi.
In questi esempi la proposizione subordinata esprime il punto di vista di chi parla o di altri (a quanto ne so; a quanto ho sentito), o richiama l'attenzione su un particolare (quanto a laurearsi; a dirsi). In questo modo limita l'ampiezza della validità di quanto si dice nella reggente.
Le proposizioni limitative possono essere esplicite o implicite.
Limitative esplicite
Gli elementi che le introducono sono:
- per quanto, a quanto + indicativo, + congiuntivo o + condizionale: per quanto ne so, sono partiti stamattina; per quanto avesse lavorato, non era soddisfatto; a quanto parrebbe, le cose non sono andate bene;
- per quel che, da quel che, a quel che, per quel + aggettivo quantitativo + che + indicativo o congiuntivo: per quel poco che ricordo, non lo abbiamo incontrato; per quel che ne sappia, di guai ne ha abbastanza;
- che + congiuntivo con i verbi sapere, ricordare, risultare, rammentare: Laura, che io sappia, non si è ancora fatta viva.
Limitative implicite
La forma implicita si ha con l'infinito preceduto da
quanto a, in quanto a:
in quanto a disegnare, ero la migliore.
Altri modi per costruire una limitativa implicita con l'infinito sono:
- a o in (anche articolate), per + infinito attivo o riflessivo, in dipendenza da un aggettivo (bravo, abile, adatto, atto, duro, incline, indispensabile, restio ecc.) o da un sostantivo o da un verbo, in base al cui significato si sceglie l'uno o l'altra preposizione: Laura è brava a cantare; il divertimento sta nell'ascoltare;
- a o da + infinito che acquista senso passivo, oppure che è costruito con si passivante, in dipendenza da aggettivi che esprimono giudizio (facile, difficile, bello, brutto, strano, meraviglioso, splendido, orrendo ecc.): è uno spettacolo bello a vedere ( = essere veduto); è uno spettacolo bello a vedersi; non è un libro difficile da leggere;
- per + l'infinito dello stesso verbo della reggente che è posticipata; nel parlato per può anche mancare: per cucinare, cucina bene, di solito; Marta? Scrivere, scrive benino.
Per approfondire:
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2020/02/06/il-complemento-di-limitazione/
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