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In bocca al lupo!

Prof. Anna
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                    [post_content] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, capita spesso di avere dubbi sulla grafia di parole formate dall'unione di più elementi. Si scrive a posto o apposto? Se mai o semmai? Cerchiamo di fare chiarezza.

Buona lettura!

Prof. Anna

Quando due o più elementi si uniscono graficamente si parla di univerbazione.

L'univerbazione è un processo per il quale due elementi semantici distinti si fondono in un unica parola. Nell'italiano contemporaneo si ha la tendenza a unire parole che nell'Ottocento erano sentite e scritte come distinte: il poeta Giosuè Carducci, ad esempio, scriveva abitualmente non di meno, fin che, non ostante, oggi invece si usano le corrispondenti forme univerbate nondimeno, finché, nonostante. La tendenza è quella a unire le due parole quando il valore dei singoli elementi non è più percepito in maniera netta e distinta: non ostante (in origine, participio presente di ostare) diventa nonostante. Solitamente più una parola è frequente nell'uso e più si afferma la variante univerbata: ad esempio sono più comuni le forme buonuscita, malesserebenessere rispetto alle forme separate, apposta prevale su a posta come addosso su a dosso.

A volte l'unione dei due elementi è preceduta dal fenomeno del raddoppiamento sintattico, cioè l'intensificazione della consonante iniziale del secondo termine di una sequenza e questo poi trova espressione grafica: così detto - cosiddetto; e come - eccome; se no - sennò.

Esempi di univerbazione dopo il raddoppiamento sintattico:

A volte si può percepire come parola unica quella che è una sequenza di parole autonome, come ad esempio più che altro oppure a posto che, a differenza di apposta, non ammette univerbazione.

Spesso la grafia separata e quella univerbata convivono nell’uso contemporaneo: innanzi tutto - innanzitutto, per lo più - perlopiù; su per giù - suppergiù; caso mai - casomai; a lato - allato; oltre modo - oltremodo; oltre misura - oltremisura. Anche la funzione della parola può fare la differenza, ad esempio le due grafie se mai e semmai possono essere usate nei due valori della parola (avverbio e congiunzione), ma è più comune la grafia univerbata semmai quando ha funzione di avverbio col significato di caso mai (semmai verrò a piedi), mentre quando ha valore di congiunzione è più frequente la grafia separata se mai (se mai arrivasse il medico, chiamatemi).

Ci sono casi in cui il processo di univerbazione sembra essere in atto, ma non è ancora pienamente accettato dalla norma, come ad esempio vabbene (va bene) in particolar modo quando ha valore di avverbio nel senso di d'accordo ed eppoi (e poi).

Fonti:

Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET 1989

https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/il-processo-di-univerbazione-o-univerbizzazione-nellitaliano-contemporaneo/192

 
                    [post_title] => Si scrive a posto o apposto? Se mai o semmai? Il fenomeno dell'univerbazione
                    [post_excerpt] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, capita spesso di avere dubbi sulla grafia di parole formate dall'unione di più elementi. Si scrive a posto o apposto? Se mai o semmai? Cerchiamo di fare chiarezza.
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                    [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, come state? Ho richiamato la vostra attenzione per mezzo del complemento di vocazione. Vediamo insieme come si presenta e cosa esprime.

Buona lettura!

Prof. Anna

Il complemento di vocazione svolge la funzione di appello o di richiamo di attenzione della persona (o entità animale o personificata) a cui ci si rivolge individuandola per nome o mediante un appellativo che la distingue. Indica quindi la persona, l’animale o la cosa a cui ci si rivolge in un discorso diretto.

Il vocativo può essere costituito:

Il complemento di vocazione è un complemento indiretto ma non è introdotto da alcuna preposizione, dal punto di vista strutturale è isolato dal resto della frase. Tale isolamento è segnato nel parlato con una particolare modulazione della voce (fra esclamazione e domanda); nello scritto invece per mezzo della punteggiatura.

Se il complemento di vocazione si trova:

Alcune precisazioni:

                    [post_title] => Il complemento di vocazione
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Buona lettura!

Prof. Anna

La parola chissà è il risultato dell'unione di due elementi: chi e sa; unendosi si ha il raddoppiamento della consonante iniziale del secondo elemento (sa): chissà. Si tratta quindi della frase interrogativa chi sa? che, cristallizzandosi, ha assunto valore avverbiale.

Chissà è un avverbio che:

Chissà forma anche alcune locuzioni:

 
                    [post_title] => Chissà!
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                    [post_content] => Con i verbi volere, potere, dovere, sapere è possibile usare sia l’imperfetto sia il passato prossimo a seconda di quello che si vuole comunicare: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/12/07/imperfetto-o-passato-prossimo-con-i-verbi-modali/.

Nel prossimo esercizio devi indicare se il risultato dell'azione è certo o è incerto.
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                    [post_content] => Ricordate il significato delle espressioni formate con il verbo mettere e la preposizione a? Per ripassare questo argomento prima di affrontare il test, leggete qui: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/12/15/i-molti-significati-del-verbo-mettere-mettere-a/
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                    [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, bentrovati!  Ecco alcuni esercizi per ripassare gli argomenti trattati di recente sul blog. Siete pronti?

In bocca al lupo!

Prof. Anna

Nelle frasi relative del seguente esercizio che viene usato in modo generico, sostituiscilo con il un pronome relativo cui preceduti dalla proposizione corretta.

Per ripassare il che polivalente prima di affrontare il test, potete leggere questo articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/12/01/il-che-polivalente/
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                    [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, quante espressioni può formare il verbo mettere seguito dalla preposizione a? Vediamolo insieme.

Il verbo mettere seguito da preposizioni semplici, da preposizioni articolate oppure da sostantivi forma un gran numero di espressioni polirematiche.

Vediamo quali sono quelle formate con mettere + a:

E quelle formate da mettere + a + articolo:

 
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                    [post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, quante espressioni può formare il verbo "mettere" seguito dalla preposizione "a"? Vediamolo insieme.
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                    [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, come si utilizzano questi due tempi con i verbi modali? Vediamolo insieme.

Nelle scorse settimane abbiamo cercato di capire quando scegliere l'imperfetto e quando invece scegliere il passato prossimo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/11/10/imperfetto-o-passato-prossimo/

Ma come comportarsi con i verbi modali? 

Con i verbi volere, potere, dovere, sapere è possibile usare sia l'imperfetto sia il passato prossimo a seconda di quello che si vuole comunicare:

Ricapitolando con i verbi modali, si usa l’imperfetto se non si conosce l’esito di un’azione: dovevo uscire, ma pioveva troppo, qui si vuole comunicare che avevo intenzione di uscire, ma, a causa della pioggia, non l'ho più fatto; si usa invece il passato prossimo quando si sottintende che l’azione è andata a buon fine: sono dovuta uscire, anche se pioveva, in questo caso l'azione si è realizzata.
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Buona lettura!

Prof. Anna

Tra tutte le congiunzioni che è quella più usata in tutti i registri scritti e parlati, anzi è in assoluto una delle parole più in uso della lingua italiana, introduce infatti molte subordinate: le oggettive (sostengo che è colpa sua); le soggettive (è giusto che tu dica la verità); le dichiarative (non ammetto questo: che tu ti comporti così); e le relative quando l’antecedente del pronome relativo è un soggetto o un complemento oggetto (la donna che vedi è mia sorella; la donna che hai incontrato è mia sorella).

Nella lingua parlata odierna e nell'italiano di uso medio è diffusa la tendenza a usare che con significato generico per introdurre vari tipi di subordinate che, in italiano standard, verrebbero introdotte da altre congiunzioni, la sua funzione specifica risulterà dal significato di insieme; è in questi casi che si parla di che polivalente.

Il che polivalente compare nell'italiano di registro colloquiale antico e moderno, con tantissime attestazioni anche letterarie.

Il che polivalente si usa per introdurre frasi:

Si può parlare di che polivalente anche quando che si usa in modo generico nelle frasi relative in sostituzione di un pronome relativo cui o il quale preceduti da una proposizione:

Il che polivalente è attestato in letteratura già in italiano antico, ci sono poi molti esempi in epoca più recente; il suo uso sottolinea una scelta stilistica di tipo popolare, è presente infatti in testi di canzoni, in Ragazzo fortunato di Jovanotti: sono fortunato perché non c'è niente che (di cui) ho bisogno oppure in Fiore di Maggio di Fabio Concato: tu che sei nata dove c'è sempre il sole, sopra uno scoglio che (da cui) ci si può tuffare o in titoli di film, come Maledetto il giorno che ti ho incontrato di Carlo Verdone.

L'accettabilità di questo uso di che oscilla, non solo in base a livello di lingua adoperato (sorvegliato o non sorvegliato), ma dipende anche dal tipo di costrutti: il che temporale è appropriato anche in contesti formali ed è anzi l'unica possibilità in frasi che indicano la durata di un'azione in rapporto a una data unità di tempo (ora, giorno, anno): è un'ora che ti aspetto; erano dieci anni che andava avanti questa storia. 
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In bocca al lupo!

Prof. Anna
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