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[post_content] => Quali tempi verbali si usano per esprimere contemporaneità?
Se vi sentite preparati su questo argomento, potete fare subito l'esercizio, se invece avete bisogno di un ripasso, leggete l'articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2019/05/23/concordanza-dei-tempi-con-il-congiuntivo-la-contemporaneita/
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[post_content] => Prima di fare il prossimo esercizio tutto d'un fiato, potete ripassare questo argomento leggendo il seguente articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2019/05/16/espressioni-con-la-parola-fiato/
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[post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, ripassiamo insieme gli argomenti trattati di recente sul blog. Il primo esercizio è sull'uso degli aggettivi bello e buono.
Buon test!
Prof. Anna
Quando si usa bello e quando si usa buono? Se avete ancora dubbi, rinfrescatevi le dee con questo articolo prima di fare l'esercizio: http://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2019/05/02/bello-o-buono/
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[post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, i dubbi sulla concordanza dei tempi tra reggente e subordinata sono sempre numerosi, oggi vedremo quali tempi verbali usare per esprimere il rapporto di contemporaneità.
Buona lettura!
Prof. Anna
Il tempo verbale della reggente condiziona il tempo della subordinata a seconda che si voglia esprimere un rapporto di contemporaneità, anteriorità o posteriorità.
Oggi approfondiremo i tempi verbali necessari per esprimere un rapporto di contemporaneità tra la proposizione reggente e la subordinata, in questo caso le due frasi designano eventi simultanei, che avvengono cioè nello stesso momento.
Due azioni possono essere contemporanee:
→ nel presente: credo (adesso) che tu abbia ragione (adesso);
→ nel passato: credevo (in passato) che tu avessi ragione (in passato).
La tabella che segue prende in considerazione tutte le possibili combinazioni di tempi verbali che servono a esprimere il rapporto temporale di contemporaneità tra reggente e subordinata, quando il verbo della reggente richiede il congiuntivo.
Per la concordanza dei tempi quando il verbo della reggente non richiede il congiuntivo, potete consultare questo articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2017/06/01/approfondimento-la-concordanza-dei-tempi-con-lindicativo/.
PER ESPRIMERE CONTEMPORANEITÀ
Quando nella reggente il verbo è:
• indicativo presente: immagino
• imperativo: immagina
• indicativo futuro: immaginerò
• condizionale: immaginerei
⇒ nella subordinata useremo:
• congiuntivo presente: che egli faccia bene
Quando nella reggente il verbo è:
• indicativo imperfetto: immaginavo
• passato prossimo: ho immaginato
• passato remoto: immaginai
• trapassato prossimo: avevo immaginato
• condizionale passato: avrei immaginato
⇒ nella subordinata useremo:
• congiuntivo imperfetto: che facesse bene
ATTENZIONE:
quando nella principale c’è un verbo che esprime volontà o desiderio coniugato al condizionale presente o passato (volere, preferire ecc.) per indicare un rapporto di contemporaneità si usa il congiuntivo imperfetto: preferirei che tu fossi sincero; avrei preferito che tu fossi sincero.
Nel seguente esercizio coniugate il verbo tra parentesi in modo che esprima contemporaneità con la reggente.
[post_title] => Concordanza dei tempi con il congiuntivo: la contemporaneità
[post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, i dubbi sulla concordanza dei tempi tra reggente e subordinata sono sempre numerosi, oggi vedremo quali tempi verbali usare per esprimere il rapporto di contemporaneità.
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[post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, oggi vediamo insieme quali sono le espressioni formate con la parola fiato e qual è il loro significato.
Buona lettura!
Prof. Anna
La parola fiato deriva dal termine latino flatus (dal verbo flare: soffiare) significa principalmente aria che si emette dai polmoni attraverso naso e bocca, durante il movimento di espirazione; ma anche voce, favella, forza di respirare.
I modi di dire più usati formati con questa parola sono:
• (stare) col fiato sospeso → stare in ansiosa attesa, attendere con ansia l'esito di qualcosa: siamo rimasti tutti il giorno con il fiato sospeso in attesa del verdetto;
• tirare il fiato → respirare meglio dopo uno sforzo fisico, in senso figurato avere un momento di pausa, di tranquillità dopo un impegno gravoso, rilassarsi dopo un periodo di tensione: dopo mesi di duro lavoro ora possiamo tirare un po' il fiato;
• rimanere senza fiato → non potere respirare per la sorpresa, in senso figurato restare allibiti, stupefatti, senza parole: quando mi ha detto quello che era successo, sono rimasta senza fiato;
• togliere il fiato, levare il fiato, mozzare il fiato → stupire, meravigliare, lasciare a bocca aperta per lo stupore; da levare il fiato, da togliere il fiato, da mozzare il fiato: è bella da levare il fiato;
• avere il fiato grosso, avere il fiato corto → avere il respiro affannoso, si usa in senso figurato per indicare una situazione che procede in maniera faticosa e non ha quasi più possibilità di riuscita: il Paese cresce ma ha il fiato grosso;
• tutto d'un fiato, d'un fiato → senza interruzione, tutto in una volta: ha bevuto quel bicchiere di vino tutto d'un fiato;
• sentire il fiato sul collo→ essere inseguito da vicino, essere troppo sorvegliato da qualcuno; stare col fiato sul collo → sorvegliare qualcuno, fare pressioni continue su qualcuno: non riuscirò mai a decidere con calma se mi stai col fiato sul collo;
• sprecare il fiato → parlare inutilmente: non sprecare il fiato con lei, tanto non ti ascolta; fiato sprecato → discorsi inutili, senza efficacia: non cercare di convincerlo, è fiato sprecato;
• risparmiare il fiato → evitare di parlare, non insistere su una questione: con loro è inutile discutere, risparmia il fiato.
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[post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, avete mai sentito parlare delle oggettive oblique o oggettive improprie? Vediamo insieme di cosa si tratta.
Buona lettura!
Prof. Anna
Le proposizioni oggettive hanno funzione di oggetto diretto della principale, rispondono alla domanda che cosa?, chi? e dipendono da un verbo transitivo: capisco (che cosa?) che sei stanco.
Ci sono proposizioni che fungono da oggetto del predicato della reggente pur rispondendo alle domande di che cosa?, a che cosa (e non che cosa?). Queste proposizioni sono chiamate oggettive oblique e sono introdotte da verbi o espressioni che, pur non essendo transitivi, sono di questi equivalenti (sono transitivi dal punto di vista logico):
→ prometto (che cosa?) che verrò (oggettiva vera e propria);
→ sono convinto (di che cosa?) che verrai (oggettiva obliqua).
Le oggettive oblique possono dipendere:
• da verbi intransitivi pronominali: accorgersi, illudersi, accontentarsi, assicurarsi, convincersi, congratularsi, degnarsi, persuadersi, rallegrarsi, rammaricarsi, scusarsi, sforzarsi, vergognarsi, lamentarsi, ricordarsi ecc.: mi sono ricordato (di che cosa?) di telefonarti (oggettiva obliqua);
• da alcuni verbi non pronominali: dubitare, pensare ecc.: dubito di poter venire;
• da alcune espressioni: essere a conoscenza, rendersi conto, essere sicuro (certo, convinto, in dubbio), fare finta, avere paura, avere la certezza (la convinzione, la speranza, il dubbio), avere vergogna, fare attenzione ecc.: ha fatto attenzione a non offendere nessuno.
Le oggettive oblique esplicite sono introdotte dagli elementi tipici delle oggettive vere e proprie: che, come, quanto, se, del fatto che: mi rendo conto (di che cosa?) che (del fatto che) ho sbagliato; sono consapevole (di che cosa?) del fatto che dovrò impegnarmi molto.
Le oggettive oblique implicite possono essere introdotte da di + infinito: mi scuso di essere stato scortese o da a + infinito: ha sofferto a vedere quello spettacolo.
Lo o ne?
Le oggettive vere e proprie possono essere richiamate dal pronome diretto lo, che le sostituisce: "capisco che è stanco" "Lo capisco anch'io" (capisco qualcosa).
Le oggettive oblique sono spesso richiamate dalla particella ne: "mi sono accorto che ho sbagliato" "Me ne sono accorto anch'io" (mi accorgo di qualcosa).
[post_title] => La frase complessa: le oggettive oblique
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[post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, gli aggettivi bello e buono hanno significati simili, ma non uguali, per questo è così facile confondersi. Facciamo un po' di chiarezza.
Buona lettura!
Prof. Anna
Ci sono due difficoltà principali nell'uso di questi due aggettivi: il loro significato e il fatto che la loro forma cambia a seconda del nome che li segue, si comportano cioè come gli articoli.
BELLO
⇒ Significato
Bello è un aggettivo che:
• descrive qualcosa o qualcuno che per le sue qualità estetiche provoca impressioni gradevoli: un bel ragazzo (un ragazzo dall'aspetto gradevole);
• può significare vistoso, cospicuo, grande: una bella spesa (una spesa cospicua);
• viene usato per intensificare un concetto: è un bel problema (è un problema grande).
⇒ Uso
L'aggettivo bello al maschile singolare:
• si tronca in bel davanti a consonante: bel problema, bel tempo;
• rimane bello davanti a nomi che iniziano con s + consonante, z, x, gn, ps e (ma non sempre) pn: bello strumento, bello zaino, bello gnomo;
• si elide in bell' davanti a vocale: bell'amico, bell'uomo.
Al maschile purale:
• belli diventa bei davanti a consonante: bei problemi, bei tempi;
• diventa begli davanti a vocale o a s + consonante, z, x, gn, ps e (ma non sempre) pn: begli uomini, begli strumenti, begli gnomi.
Al femminile:
• la forma singolare bella si può elidere davanti a vocale: bell'attrice;
• il plurale belle si elide raramente: belle immagini (meglio di: bell'immagini).
BUONO
⇒ Significato
L'aggettivo buono significa:
• che si considera conforme ai principi morali, indica in generale la tendenza al bene: una buona azione, buona volontà;
• cortese, affabile, benevolo: è sempre stato buono con me;
• ubbidiente, tranquillo: è un bambino buono;
• abile e idoneo a compiere la propria funzione: è un buon medico; è un buon ristorante;
• utile, vantaggioso: questo sciroppo è buono per la tosse;
• gradevole ai sensi: un buon odore, questo risotto è buono;
• buono può essere usato anche per intensificare (di solito con i numerali): ci sono voluti minuti buoni (abbondanti).
⇒ Uso
L'aggettivo buono al maschile singolare:
• si tronca in buon davanti a vocale o a consonante seguita da vocale o da "l" o da "r": buon affare, buon carattere, buon profumo;
• rimane buono davanti a s + consonante, z, x, gn. ps e pn: buono scultore (nell'uso tuttavia è frequente il mantenimento della forma tronca: un buon pneumatico, un buon stipendio).
Al femminile singolare:
• buona non muta davanti a consonante: buona madre;
• si elide davanti a vocale e richiede perciò l'apostrofo, l'elisione non è obbligatoria: buon'amica, buona idea.
Al plurale buoni e buone normalmente non si elidono: buoni amici, buone amiche.
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[post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, gli aggettivi "bello" e "buono" hanno significati simili, ma non uguali, per questo è così facile confondersi. Facciamo un po' di chiarezza.
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[post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, tra pochi giorni è Pasqua, ci si prepara a festeggiare e c'è un dolce che non può mancare sulle tavole italiane: la colomba pasquale. Quali sono le sue origini? Scopriamolo insieme.
Buona Pasqua a tutti!
Prof. Anna
La colomba pasquale è un dolce tipico italiano di pasta lievitata le cui origini sarebbero molto antiche. Secondo la tradizione, la colomba pasquale è un dolce lombardo. È lì che sono ambientate tutte le leggende che ne parlano, anche se dolci a forma di colomba, simbolo di pace e di riconciliazione per la cristianità, erano preparati anche in altre regioni, come il Veneto e la Sicilia.
Se incontrate parole che non conoscete, utilizzate il dizionario on line, basta cliccare due volte sulla parola e si aprirà una finestra, cliccando una volta su questa finestra verrà visualizzato il significato della parola.
LE 3 LEGGENDE STORICHE SULLA COLOMBA PASQUALE
Esistono leggende che farebbero risalire questo dolce pasquale al re longobardo Alboino che, alla vigilia di Pasqua del 572, conquistò Pavia risparmiando però la città dal saccheggio perché tra i regali ricevuti c’erano degli squisiti pani dolci preparati a forma di colomba.
Una seconda leggenda vuole che la colomba pasquale sia legata alla regina longobarda Teodolinda. Si narra che, attorno al 610, a Pavia, la capitale dei Longobardi, la regina Teodolinda avesse ospitato un gruppo di pellegrini irlandesi, guidati da San Colombano. La sovrana offrì agli ospiti piatti a base di selvaggina e ricche libagioni, ma il santo declinò perché era periodo di Quaresima, un periodo di digiuno e di penitenza. Teodolinda e il marito Agilulfo interpretarono il rifiuto come un’offesa personale e fu allora che Colombano, benedicendo la selvaggina, la trasformò in bianche colombe di pane.
Un’altra storia leggendaria posticipa le sue origini a diversi secoli dopo, all’epoca della battaglia di Legnano (1176), quando l’imperatore Federico Barbarossa venne sconfitto dalla Lega dei comuni lombardi. Secondo questa versione la colomba pasquale sarebbe nata per volontà di un condottiero della Lega dei comuni lombardi che, in onore della vittoria, fece preparare dei pani speciali a forma dell’uccello per omaggiare le tre colombe che nel corso della dura battaglia si posarono sulle insegne della Lega dei comuni, portando fortuna all'esercito della Lega.
LA NASCITA DELLA COLOMBA MODERNA
La nascita della colomba che mangiamo oggi risale ai primi del '900, più precisamente intorno agli anni '30. La Motta, azienda già conosciuta in Italia per i suoi famosi panettoni, decise di trovare una strategia per sfruttare gli stessi macchinari e la stessa pasta anche nei mesi successivi al Natale. L'idea di creare un dolce pasquale a forma di colomba venne a Dino Villani. allora direttore della pubblicità dell'azienda milanese e ideatore tra l’altro del concorso che poi diventerà Miss Italia. Gli ingredienti sono molto semplici: farina, burro, uova, zucchero, latte, arance candite e, ovviamente, mandorle e granella di zucchero in superficie, la procedura è però molto laboriosa, sono necessarie ben tre lievitazioni. Nacque così la colomba, che rapidamente si diffuse fino a diventare uno dei dolce tipici della Pasqua italiana.
RISPONDI ALLE DOMANDE
1- Secondo la tradizione, da quale regione italiana proviene la colomba?
2- Secondo la prima leggenda, il re Alboino ricevette in regalo pani dolci a forma di colomba dopo la conquista di quale città?
3- La città conquistata da Alboino non venne saccheggiata. Per quale motivo?
4- Nella seconda leggenda, perché San Colombano rifiuta i piatti che gli sono offerti da Teodolinda?
5- Perché San Colombano trasforma la selvaggina in pane?
6- Secondo l'ultima leggenda perché si preparano dei pani speciali per omaggiare tre colombe?
7- Chi inventò la colomba pasquale nei primi anni del '900?
8- E perché?
9- Nel tuo paese di origine ci sono dolci o piatti che si mangiano solo a Pasqua?
Fonti:
https://www.lacucinaitaliana.it/news/in-primo-piano/colomba-di-pasqua-storia/
https://www.artimondo.it/magazine/colomba-pasquale-glossario-artigianato/
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[post_content] => Quanti errori fate nel coniugare i verbi "difficili"? Scopritelo facendo il prossimo esercizio.
Se volete prima ripassare questo argomento, leggete il seguente articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2019/03/21/coniugazione-dei-verbi-gli-errori-piu-comuni-2/
Coniugate correttamente il verbo secondo le indicazioni date; quando sono corrette più opzioni, sceglietene una.
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[post_content] => Il prossimo esercizio è sulle frasi scisse. Per ripassare questo argomento, potete leggere il seguente articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2019/03/14/la-frase-scissa/
Nell’esercizio che segue troverete delle frasi semplici, partendo da queste dovrete formare la frase scissa corrispondente. L’elemento da mettere in evidenza (quello che si troverà nel primo segmento della frase) è scritto in corsivo: il gatto miagola → è il gatto che miagola. In questo esercizio le frasi scisse cominciano con la minuscola. La costruzione è esplicita a meno che non sia richiesta quella implicita. Nel caso in cui ci siano due possibilità per formare la frase scissa, sceglietene una.
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[post_content] => Quali tempi verbali si usano per esprimere contemporaneità?
Se vi sentite preparati su questo argomento, potete fare subito l'esercizio, se invece avete bisogno di un ripasso, leggete l'articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2019/05/23/concordanza-dei-tempi-con-il-congiuntivo-la-contemporaneita/
[post_title] => Test 62- Concordanza dei tempi con il congiuntivo: la contemporaneità
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