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[post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, quando usare mettersi e quando invece metterci? Vediamolo insieme.
METTERSI
La forma mettersi può essere:
⇒ transitiva pronominale e significare:
- indossare: si è messa il cappotto;
- infilarsi seguita dalla preposizione in con valore intensivo: si mise le mani in tasca.
Può formare
alcune espressioni:
- mettersi in testa qualcosa → convincersi di qualcosa, ritenere vero qualcosa (seguito da che): si è messo in testa che la moglie lo tradisca;
- mettersi il cuore in pace / mettersi l'animo in pace → rassegnarsi: mettiti il cuore in pace: non otterrai ciò che vuoi;
⇒
riflessiva e significare: assumere una determinata posizione o collocazione:
mettersi a sedere, mettersi in piedi, mettersi a tavola. Con questo significato forma
diverse espressioni:
- mettersi in cammino, mettersi per strada → incamminarsi;
- mettersi in fuga → fuggire;
- mettersi in piedi → rizzarsi;
- mettersi al lavoro → iniziare a lavorare con impegno;
- mettersi sotto → si usa in un linguaggio colloquiale col significato di: darsi da fare, impegnarsi con decisione in qualcosa: per portare a termine l’opera mi sono messo sotto;
- mettersi in vista → farsi notare;
- mettersi contro qualcuno o qualcosa → contrapporsi;
- mettersi di traverso → assumere una posizione che costituisce un ostacolo, anche in senso figurato: essere d'ostacolo.
Significa anche
vestirsi, abbigliarsi seguito dalla preposizione
in: mettersi in costume; mettersi in abito da sera; mettersi in ghingheri (
con abiti e acconciature eleganti, ricercati).
Mettersi può anche significare
unirsi seguito dalla preposizione
con:
mettersi con qualcuno, mettersi insieme vuol dire iniziare una relazione con qualcuno.
⇒
intransitiva pronominale col significato di volgersi verso un determinato esito (vediamo come si mettono le cose):
- si mette bene, si mette male → la situazione si evolve in senso negativo o positivo;
- mettercisi → sopravvenire, intervenire, solitamente in senso negativo: a un certo punto ci si è messa anche la pioggia; non mettertici anche tu!
Col significato di
cominciare seguita da
a + infinito:
mi metto a studiare (comincio a studiare), anche impersonale:
si mette a piovere; mettersi vuol dire anche
disporsi a fare qualcosa: mettersi alla ricerca di qualcosa; mi metto al lavoro.
METTERCI
La forma verbale
metterci può significare:
- mettere in qualcosa → mettici un po' di sale;
- dedicare a qualcosa → metterci tutto il proprio impegno;
- impiegare un determinato tempo → "Quanto tempo ci metti ad arrivare?" "Ci metto un'ora".
Alcune espressioni con
metterci:
- metterci del proprio (del mio, del suo, del loro ecc.) → dare il proprio personale contributo, usato anche ironicamente: ci hai messo del tuo nel rovinarmi la serata; anche, aggiungere particolari soggettivi: nel descrivere l'accaduto ci ha messo del suo;
- metterci la faccia → esporsi in prima persona;
- metterci la firma → accettare, accogliere o immaginare una possibilità con entusiasmo: un lavoro cosi? ci metterei la firma!;
- mettercela tutta, impegnarsi al massimo → speriamo bene, io ce l'ho messa tutta.
Per approfondire:
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/10/27/i-molti-significati-del-verbo-mettere-mettere-in/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/12/15/i-molti-significati-del-verbo-mettere-mettere-a/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2015/05/21/i-molti-significati-del-verbo-mettere/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2011/12/01/uso-di-volercie-metterci/
[post_title] => I molti significati del verbo "mettere": "mettersi" e "metterci"
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Il prossimo è un esercizio su alcuni complementi: sapete riconoscerli?
Per ripassarli:
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2023/01/26/il-complemento-di-vocazione/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/06/09/complemento-di-compagnia-complemento-di-esclusione-e-complemento-di-relazione/
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Il prossimo esercizio è sull'univerbazione: come si scrivono le seguenti parole?
Per un rapido ripasso, leggete qui:
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Intercultura blog, è il momento di verificare le nostre conoscenze.
Chissà come andrà questi test!
In bocca al lupo!
Prof. Anna
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Intercultura blog, capita spesso di avere dubbi sulla grafia di parole formate dall'unione di più elementi.
Si scrive a posto o apposto? Se mai o semmai? Cerchiamo di fare chiarezza.
Buona lettura!
Prof. Anna
Quando due o più elementi si uniscono graficamente si parla di
univerbazione.
L'univerbazione è un processo per il quale due elementi semantici distinti si fondono in un unica parola. Nell'italiano contemporaneo si ha la tendenza a unire parole che nell'Ottocento erano sentite e scritte come distinte: il poeta Giosuè Carducci, ad esempio, scriveva abitualmente
non di meno, fin che, non ostante, oggi invece si usano le corrispondenti forme univerbate
nondimeno, finché, nonostante. La tendenza è quella a unire le due parole quando il valore dei singoli elementi non è più percepito in maniera netta e distinta:
non ostante (in origine, participio presente di
ostare) diventa
nonostante. Solitamente più una parola è frequente nell'uso e più si afferma la variante univerbata: ad esempio sono più comuni le forme
buonuscita,
malessere e
benessere rispetto alle forme separate,
apposta prevale su
a posta come
addosso su
a dosso.
A volte l'unione dei due elementi è preceduta dal fenomeno del raddoppiamento sintattico, cioè l'intensificazione della consonante iniziale del secondo termine di una sequenza e questo poi trova espressione grafica:
così detto - cosiddetto; e come - eccome; se no - sennò.
Esempi di univerbazione dopo il raddoppiamento sintattico:
- appena, chissà, davvero, evviva, fabbisogno, frattanto, giammai, lassù, macché, neppure, quaggiù, semmai, sennonché, suvvia, tressette;
- dopo le forme prefissali contra e sopra: contraddire, contrattempo, soprattutto, sopracciglio, sopralluogo;
- una forma verbale all'imperativo seguito da un pronome: dammi, fallo (Congiuntivo esortativo e imperativo con i pronomi | Zanichelli Aula di lingue).
A volte si può percepire come parola unica quella che è una sequenza di parole autonome, come ad esempio
più che altro oppure
a posto che, a differenza di
apposta, non ammette univerbazione.
Spesso la grafia separata e quella univerbata convivono nell’uso contemporaneo:
innanzi tutto - innanzitutto,
per lo più - perlopiù; su per giù - suppergiù; caso mai - casomai; a lato - allato; oltre modo - oltremodo; oltre misura - oltremisura. Anche la funzione della parola può fare la differenza, ad esempio le due grafie
se mai e
semmai possono essere usate nei due valori della parola (avverbio e congiunzione), ma è più comune la grafia univerbata
semmai quando ha funzione di avverbio col significato di
caso mai (semmai verrò a piedi), mentre quando ha valore di congiunzione è più frequente la grafia separata
se mai (se mai arrivasse il medico, chiamatemi).
Ci sono casi in cui il processo di univerbazione sembra essere in atto, ma non è ancora pienamente accettato dalla norma, come ad esempio
vabbene (va bene) in particolar modo quando ha valore di avverbio nel senso di
d'accordo ed
eppoi (e poi).
Fonti:
Luca Serianni,
Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET 1989
https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/il-processo-di-univerbazione-o-univerbizzazione-nellitaliano-contemporaneo/192
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Care lettrici e cari lettori di
Intercultura blog, come state? Ho richiamato la vostra attenzione per mezzo del
complemento di vocazione. Vediamo insieme come si presenta e cosa esprime.
Buona lettura!
Prof. Anna
Il complemento di vocazione svolge la funzione di appello o di richiamo di attenzione della persona (o entità animale o personificata) a cui ci si rivolge individuandola per nome o mediante un appellativo che la distingue. Indica quindi la persona, l’animale o la cosa a cui ci si rivolge in un discorso diretto.
Il vocativo può essere costituito:
- dal nome dell'interpellato: Carlo, come stai?;
- dal termine che individua il tipo di relazione sociale, spesso seguito dal cognome o dal nome: signora, signore, dottore, professor ecc.;
- dal pronome di seconda persona singolare o plurale , familiare o di cortesia: tu, voi, lei, loro;
- da un appellativo affettivo: caro, tesoro, amore, dolcezza ecc.
Il complemento di vocazione è un complemento indiretto ma non è introdotto da alcuna preposizione, dal punto di vista strutturale è isolato dal resto della frase. Tale isolamento è segnato nel parlato con una particolare modulazione della voce (fra esclamazione e domanda); nello scritto invece per mezzo della punteggiatura.
Se il complemento di vocazione si trova:
- all'inizio o alla fine della frase, è isolato per mezzo di una virgola, posta rispettivamente prima o dopo: Prego, signora!, Quanto mi manchi, amore mio!;
- all'interno della frase, è isolato per mezzo di due virgole: Ciao, Francesca, come stai?; Allora, professore, come sono andata?
Alcune precisazioni:
- il complemento di vocazione può essere preceduto da interiezioni o espressioni di richiamo di attenzione dell'interlocutore, come: o ,ehi, ehilà, ohè (non propriamente cortesi), (mi) scusi, senta, per favore, per cortesia, abbi (abbia) pazienza; questi elementi sono presenti per la vera e propria funzione di appello: quando ancora la persona a cui si rivolge la parola non è parte della situazione comunicativa in cui si vuole introdurla;
- il complemento di vocazione può essere accompagnato da un aggettivo possessivo che generalmente segue il vocativo: amico mio, figlioli miei, Dio mio. Se però il possessivo è con un altro aggettivo è per lo più anteposto: mio caro amico, miei bravi scolari;
- nel linguaggio letterario il complementi di vocazione è molto comune ed è alla base della figura retorica dell'apostrofe, che consiste nel rivolgere il discorso in tono concitato a persona o cosa personificata: Ahi Pisa, vituperio de le genti (Dante Inf. XXXIII, 79).
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Intercultura blog,
di cosa parleremo oggi? Chissà!
Buona lettura!
Prof. Anna
La parola
chissà è il risultato dell'unione di due elementi:
chi e
sa; unendosi si ha il raddoppiamento della consonante iniziale del secondo elemento (sa):
chissà. Si tratta quindi della frase interrogativa
chi sa? che, cristallizzandosi, ha assunto valore avverbiale.
Chissà è un avverbio che:
- può esprimere un dubbio, una perplessità, incertezza e talvolta una vaga speranza; viene anteposto a pronomi interrogativi o congiunzioni come se, quando, mai, dove, come, chi, che, cosa ecc. e introduce frasi che sono apparentemente interrogative indirette, in realtà sono esclamative, per via dell'intonazione con cui vengono pronunciate e nella scrittura per via dell'uso del punto esclamativo (e non interrogativo): chissà chi è!; chissà come finirà; chissà cosa voleva!; chissà se ci vedremo ancora;
- può sostituire un'intera frase con il significato di forse, probabilmente, può darsi; usato come inciso oppure anteposto o posposto alla frase, ne rafforza il contenuto di ipotesi: chissà, può essere stato lui; era convinto, chissà, di fare una buona azione; forse tra un'ora avrò finito, chissà. Talvolta si usa per eludere risposte più impegnative: "Verrai anche tu?" "Chissà!".
Chissà forma anche alcune locuzioni:
- chissà che ⇒ locuzione pronominale indefinita invariabile; indica qualcosa di indeterminato, di non ben definito o ironicamente qualcosa di eccessivo, di esagerato: vogliono chissà che!; sembrava chissà che invece era una semplice influenza; è anche locuzione aggettivale indefinita con gli stessi significati: ora ci daranno chissà che multa!; credeva di aver comprato chissà che rarità e invece era una fregatura!;
- chissà chi ⇒ locuzione pronominale indefinita invariabile; indica una persona indeterminata o sconosciuta o, ironicamente, qualcuno di scarsa importanza e notorietà: quei soldi li avrà vinti chissà chi; crede di essere chissà chi;
- chissà come ⇒ è una locuzione avverbiale; indica un modo imprecisato, non ben definito: è riuscito a fuggire chissà come;
- chissà dove ⇒ locuzione avverbiale che indica dubbio, incertezza riguardo a un luogo o a una direzione: se ne è andato chissà dove; abita chissà dove;
- chissà perché ⇒ indica dubbio, incertezza riguardo al motivo o alla causa di qualcosa: se n'è andata chissà perché;
- chissà quale ⇒ locuzione pronominale e aggettivale indefinita invariabile, indica qualcosa di non ben definito: avrà trovato delle scuse, chissà quali!; avrà combinato chissà quale pasticcio!;
- chissà quando ⇒ è una locuzione avverbiale che indica dubbio, incertezza riguardo al tempo entro cui qualcosa deve avvenire: partiremo chissà quando;
- chissà quanto ⇒ locuzione avverbiale, indica dubbio, incertezza riguardo alla quantità o all’entità di qualcosa: sarà costato chissà quanto!;
- chissà mai ⇒ locuzione avverbiali, esprime incertezza o vaga speranza: chissà mai che non sia vero.
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volere, potere, dovere, sapere è possibile usare sia l’imperfetto sia il passato prossimo a seconda di quello che si vuole comunicare:
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Nel prossimo esercizio devi indicare se il risultato dell'azione è certo o è incerto.
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Ricordate il significato delle espressioni formate con il verbo mettere e la preposizione a? Per ripassare questo argomento prima di affrontare il test, leggete qui:
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/12/15/i-molti-significati-del-verbo-mettere-mettere-a/
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Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, bentrovati! Ecco alcuni esercizi per ripassare gli argomenti trattati di recente sul blog. Siete pronti?
In bocca al lupo!
Prof. Anna
Nelle frasi relative del seguente esercizio
che viene usato in modo generico,
sostituiscilo con il un pronome relativo cui preceduti dalla proposizione corretta.
Per ripassare il
che polivalente prima di affrontare il test, potete leggere questo articolo:
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/12/01/il-che-polivalente/
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Intercultura blog, quando usare
mettersi e quando invece
metterci? Vediamolo insieme.
METTERSI
La forma
mettersi può essere:
⇒ transitiva pronominale e significare:
- indossare: si è messa il cappotto;
- infilarsi seguita dalla preposizione in con valore intensivo: si mise le mani in tasca.
Può formare
alcune espressioni:
- mettersi in testa qualcosa → convincersi di qualcosa, ritenere vero qualcosa (seguito da che): si è messo in testa che la moglie lo tradisca;
- mettersi il cuore in pace / mettersi l'animo in pace → rassegnarsi: mettiti il cuore in pace: non otterrai ciò che vuoi;
⇒
riflessiva e significare: assumere una determinata posizione o collocazione:
mettersi a sedere, mettersi in piedi, mettersi a tavola. Con questo significato forma
diverse espressioni:
- mettersi in cammino, mettersi per strada → incamminarsi;
- mettersi in fuga → fuggire;
- mettersi in piedi → rizzarsi;
- mettersi al lavoro → iniziare a lavorare con impegno;
- mettersi sotto → si usa in un linguaggio colloquiale col significato di: darsi da fare, impegnarsi con decisione in qualcosa: per portare a termine l’opera mi sono messo sotto;
- mettersi in vista → farsi notare;
- mettersi contro qualcuno o qualcosa → contrapporsi;
- mettersi di traverso → assumere una posizione che costituisce un ostacolo, anche in senso figurato: essere d'ostacolo.
Significa anche
vestirsi, abbigliarsi seguito dalla preposizione
in: mettersi in costume; mettersi in abito da sera; mettersi in ghingheri (
con abiti e acconciature eleganti, ricercati).
Mettersi può anche significare
unirsi seguito dalla preposizione
con:
mettersi con qualcuno, mettersi insieme vuol dire iniziare una relazione con qualcuno.
⇒
intransitiva pronominale col significato di volgersi verso un determinato esito (vediamo come si mettono le cose):
- si mette bene, si mette male → la situazione si evolve in senso negativo o positivo;
- mettercisi → sopravvenire, intervenire, solitamente in senso negativo: a un certo punto ci si è messa anche la pioggia; non mettertici anche tu!
Col significato di
cominciare seguita da
a + infinito:
mi metto a studiare (comincio a studiare), anche impersonale:
si mette a piovere; mettersi vuol dire anche
disporsi a fare qualcosa: mettersi alla ricerca di qualcosa; mi metto al lavoro.
METTERCI
La forma verbale
metterci può significare:
- mettere in qualcosa → mettici un po' di sale;
- dedicare a qualcosa → metterci tutto il proprio impegno;
- impiegare un determinato tempo → "Quanto tempo ci metti ad arrivare?" "Ci metto un'ora".
Alcune espressioni con
metterci:
- metterci del proprio (del mio, del suo, del loro ecc.) → dare il proprio personale contributo, usato anche ironicamente: ci hai messo del tuo nel rovinarmi la serata; anche, aggiungere particolari soggettivi: nel descrivere l'accaduto ci ha messo del suo;
- metterci la faccia → esporsi in prima persona;
- metterci la firma → accettare, accogliere o immaginare una possibilità con entusiasmo: un lavoro cosi? ci metterei la firma!;
- mettercela tutta, impegnarsi al massimo → speriamo bene, io ce l'ho messa tutta.
Per approfondire:
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/10/27/i-molti-significati-del-verbo-mettere-mettere-in/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2022/12/15/i-molti-significati-del-verbo-mettere-mettere-a/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2015/05/21/i-molti-significati-del-verbo-mettere/
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2011/12/01/uso-di-volercie-metterci/
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