Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, si sta svolgendo in questi giorni (dal 18 al 23 ottobre) la XXI settimana della lingua italiana nel mondo che quest’anno ha come tema “Dante, l’italiano” per celebrare il 700esimo anniversario dalla scomparsa di Dante Alighieri. Dedichiamo l’articolo di questa settimana a parole ed espressioni usate da Dante e arrivate fino a noi.
Buona lettura!
Prof. Anna
La settimana della lingua italiana nel mondo è nata nel 2001, si tiene nella terza settimana di ottobre e comprende una grande varietà di iniziative, conferenze, eventi musicali, mostre, spettacoli dal vivo e progetti multimediali per esplorare e celebrare la lingua e quest’anno in particolare l’immaginario dantesco. Tutte le iniziative saranno visibili anche sul sito e sui canali social del ministero degli Esteri e sul portale Italiana:
https://www.facebook.com/ItalyMFA.it; https://italiana.esteri.it/italiana/
Questa è solo una delle tante celebrazioni del 700simo anniversario della scomparsa di Dante, vi segnalo ad esempio che per tutto il 2021 l’Accademia della Crusca proporrà sul loro sito La parola di Dante fresca di giornata: https://accademiadellacrusca.it/it/dante
Oggi vedremo alcune parole ed espressioni, prima sconosciute o poco diffuse, che grazie al Sommo Poeta sono entrate far parte della lingua italiana:
- mesto ⇒ deriva dal latino māestu(m) che è il participio passato di maerēre (essere afflitto); questo aggettivo compare per la prima volta nella Divina Commedia, è usato da Dante nell’Inferno tre volte (due delle quali per descrivere i dannati) col valore originale latino, cioè disperato, tristissimo; in italiano ha un significato più tenue: che prova tristezza (sentirsi mesto); di sguardo, espressione, atteggiamento, che rivela mestizia (sguardo mesto); di qualcosa, che provoca mestizia, tristezza (luogo mesto);
- quisquilia ⇒ dal latino quisquĭliae; Dante usa questa parola nel Paradiso in senso metaforico nel passo in cui descrive come Beatrice riesce a eliminare ogni quisquilia dagli occhi del poeta, ogni impurità, per salvarlo (de li occhi miei ogne quisquilia / fugò Beatrice col raggio d’i suoi). In senso letterale, le quisquilie sono le pagliuzze, i corpuscoli di origine vegetale che possono finire negli occhi, a partire da questo significato, quisquilia ha assunto il senso di inezia, piccolezza, bazzecola, forse proprio per effetto del testo dantesco che ha veicolato il latinismo in italiano: non badare a simili quisquilie;
- bolgia ⇒ il termine deriva dall’antico francese bolge e significa propriamente tasca, borsa. Dante ha utilizzato questa parola con il nuovo significato di fossa, con riferimento alle dieci fosse circolari e concentriche dell’ottavo cerchio dell’Inferno e da qui la parola è entrata nel linguaggio comune il significato di fossa infernale, luogo di peccato e di sofferenza e poi, soprattutto, con quello di confusione, disordine o di calca, affollamento di gente (che bolgia!);
- senza infamia e senza lode ⇒ nella lingua comune questa espressione si usa per definire una persona, una cosa, un’esperienza mediocri, che pur non avendo palesi difetti non presentano però neanche particolari qualità: è un film senza infamia e senza lode, mi aspettavo di meglio; è stata usata da Dante nel III canto dell’Inferno per indicare le persone che si rifiutano di prendere una posizione per pigrizia, per indifferenza o per quieto vivere;
- non mi tange ⇒ questa espressione significa non mi interessa, non mi tocca, non mi riguarda, non i turba ed è Beatrice che la pronuncia per per rassicurare Virgilio del fatto che le miserie, le sofferenze dei dannati non la turbano perché è una creatura divina. Ancora oggi questa espressione è usata frequentemente per indicare qualcosa che non ci interessa minimamente: il suo comportamento non mi tange;
- il Bel Paese ⇒ Dante usa questa espressione nel XXXIII canto dell’Inferno per definire l’Italia, che meritò quest’appellativo grazie al clima, al paesaggio e alla cultura; ancora oggi si usa come sinonimo di Italia: i problemi economici del Bel Paese;
- cosa fatta capo ha ⇒ questa espressione è entrata nell’italiano standard e significa che ciò che è fatto è fatto e non si può cambiare, ma è anche meglio di una cosa senza conclusione che si trascina. Il proverbio deriva dall’inversione di una parte del verso 107 del canto XXVIII dell’Inferno: “Capo ha cosa fatta”; la frase è ancora oggi usata per tagliar corto e mettere fine a inutili discussioni su cose che ormai sono accadute e che non si possono cambiare;
- stai fresco / stiamo freschi ⇒ anch’essa si trova in un canto dell’inferno, nel XXXII: “là dove i peccatori stanno freschi” riferita ai traditori dei parenti e della patria, condannati a stare conficcati nel Cocito, un lago ghiacciato; oggi è un’espressione di uso comune, usata scherzosamente significa “trovarsi in difficoltà, nei guai”: se ti scoprono, stai fresco!;
- Galeotto fu ⇒ “Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”, ci troviamo nel canto V dell’Inferno, dove Francesca racconta al poeta il suo amore per Paolo. I due amanti si innamorarono leggendo un libro sulle imprese di Lancillotto, dove fu proprio Galehaut (Galeotto), siniscalco di Ginevra, a spingere la regina tra le braccia del bel cavaliere, tradendo così re Artù; il libro ha quindi assolto lo stesso compito che nel racconto fu di Galeotto, cioè spingere l’uno tra le braccia dell’altra. Oggi l’espressione si usa per indicare una persona o una cosa che favorisce gli amori altrui: Galeotta fu quella vacanza significa grazie a quella vacanza ci siamo innamorati.
Fonti:
https://accademiadellacrusca.it/it/eventi
https://www.treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/Enciclopedia_Dantesca
Molto interessante!