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[post_content] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, questa settimana vedremo insieme i vari significati del verbo "avere", arricchirete così il vostro lessico e migliorerete la vostra capacità di comprensione e comunicazione.
Buona lettura!
Prof. Anna
Sicuramente conoscete già i significati più comuni del verbo "avere", infatti è un verbo molto usato e funge anche da verbo ausiliare nei tempi composti.
Il significato principale è quello di possedere, riferito a beni materiali (avere un'automobile), oppure a entità non materiali (avere fiducia) o con riferimento a qualità fisiche o psicologiche: (avere i capelli neri; avere coraggio). Con riferimento a questi significati vediamo alcuni modi di dire:
⇒ avere qualcosa per la testa = essere preoccupato;
⇒ averne per un pezzo = impiegare molto tempo in una determinata attività;
⇒ avere qualcuno dalla propria parte = avere l'appoggio di qualcuno;
⇒ avercela con qualcuno = provare antipatia o rancore per qualcuno.
Molto comune anche il significato di ottenere (avere un riconoscimento), o tenere (avere un pacco in mano), ma anche sentire, provare (avere fame, avere freddo).
Seguito da determinate preposizioni o altri elementi può assumere altri significati, vediamo quali:
• seguito dalla preposizione -da- e un verbo all'infinito indica obbligazione: "ho da lavorare" (= devo lavorare); "ho da dirti qualcosa" (= devo dirti qualcosa), da questo uso derivano alcuni modi di dire:
⇒ avere altro da fare (da pensare) = dovere fare o pensare a cose più importanti;
⇒ (non) avere a che fare con qualcuno o qualcosa - (non) avere a che vedere con qualcuno o qualcosa = avere (o non avre) rapporti con qualcuno o qualcosa: "non voglio avere a che fare con te" (non voglio avere nessun rapporto con te);
⇒ avere a che dire - da dire con qualcuno = litigare con qualcuno;
• seguito da un aggettivo o sostantivo, qualche volta con la preposizione -a- o -in- in posizione intermedia, trasferisce il suo valore verbale all'aggettivo o al sostantivo: avere cura = curare; avere in odio = odiare; avere a mente = ricordarsi; avere a cuore = interessarsi; avere luogo = svolgersi; anche da quest'uso derivano alcuni modi di dire:
⇒ avere presente qualcuno o qualcosa = ricordarsi di qualcuno o qualcosa ("hai presente quella ragazza?" = "ti ricordi di quella ragazza?");
⇒ aversela a male = offendersi;
• seguito dalla preposizione -a- e un verbo all'infinito trasferisce il valore del suo tempo e modo al verbo che lo segue, quest'uso è soprattutto un uso letterario: ebbe a dire (=disse).
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[post_content] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, questa settimana vedremo cosa sono e come si usano i pronomi doppi.
Buona lettura!
Prof. Anna
Si dicono pronomi doppi quei pronomi che riuniscono in sé le funzioni di due pronomi. Questi pronomi, a differenza di quelli relativi, non richiedono un termine a cui riferirsi, perché lo contengono già in essi.
I pronomi doppi sono: chi, quanto, quanti, quante.
• Chi (=colui il quale, colei la quale, qualcuno che) è invariabile. Si usa solo al singolare e con riferimento a esseri animati: "chi mangia troppo, rischia di ingrassare". Chi unisce in sé la funzione di due pronomi diversi: dimostrativo + relativo: "chi (=colui il quale) non è d'accordo lo dica"; o indefinito + relativo: "c'è chi (= qualcuno che) non è d'accordo con me".
• Quanto (=tutto quello che) è variabile. Al singolare si riferisce soltanto a cose: "per quanto (=quello che) mi riguarda, sono pronto a impegnarmi al massimo". Al plurale si riferisce sia a persone sia a cose: "aiuterò quanti (=tutti coloro che) me lo chiederanno.
PRECISAZIONI SULL'USO DI CHI
Il pronome doppio chi, come abbiamo detto, riunisce in sé due forme pronominali distinte:
• un dimostrativo + relativo: ammiro chi (=colui il quale) sa essere generoso;
• un indefinito + relativo: è difficile trovare chi (=qualcuno che) sappia farlo.
Questo pronome presenta alcune particolarità nell'uso; può essere usato solo al singolare (chi ha sbagliato, pagherà, ma coloro i quali hanno sbagliato, pagheranno) e il suo impiego è limitato ad alcuni casi.
⇒ Casi in cui si usa il pronome doppio chi:
• quando è soggetto sia nella proposizione reggente e sia nella relativa: "chi non risponde bene alla domanda, deve studiare di più";
• quando è oggetto diretto sia nella reggente e sia nella relativa: "non ho visto chi hai salutato";
• quando è oggetto diretto nella reggente e soggetto nella relativa: "non ho visto chi mi ha salutato";
• quando è complemento indiretto nella reggente e soggetto nella relativa: "mi sono rivolto a chi poteva aiutarmi";
• quando è complemento indiretto nella reggente e oggetto nella relativa: "mi sono rivolto a chi mi hai presentato";
• quando è complemento indiretto nella reggente e nella relativa, a patto che il complemento della reggente e quello della relativa richiedano la stessa preposizione: "ho consegnato il regalo a chi doveva essere consegnato".
Non si può usare quando è complemento indiretto nella reggente e nella relativa quando i complementi hanno preposizioni diverse, per esempio è scorretta la frase: "non posso fidarmi di chi non ho mai collaborato", ma è corretta la frase: "non posso fidarmi di uno con cui non ho mai collaborato".
• chi può anche fungere da pronome indefinito e non doppio quando:
⇒ ha valore condizionale, significa se qualcuno e può essere seguito da congiuntivo imperfetto: "chi (se qualcuno) volesse leggere quel libro, può trovarlo in biblioteca";
⇒ è usato in correlazione con altri chi col significato di uno che, qualcuno che: "alla festa c'era chi parlava, chi mangiava, chi ballava, ma tutti si stavano divertendo".
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[post_content] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, questa settimana andremo in giro per l'Italia e precisamente visiteremo Bologna, il capoluogo della regione Emilia-Romagna, settimo comune italiano per popolazione; città tipicamente medioevale, famosa per la sua antichissima università, i portici e le torri, ma non solo.
Come al solito, vi ricordo che se ci sono parole che non conoscete, potete consultare il dizionario on-line: basta cliccare due volte sulla parola e si aprirà una piccola finestra, cliccando una volta su questa finestra apparirà il significato.
Buon viaggio!
Prof. Anna
BOLOGNA LA DOTTA, LA ROSSA E LA GRASSA
Bologna è il capoluogo dell'Emilia-Romagna, regione dell'Italia nord-orientale.
La Dotta, la Rossa, la Grassa: così viene definita questa città. La Dotta per la presenza di una dell'università più antica d'Italia che attira ancora numerosi studenti da tutto il Paese, la Rossa per il tipico colore rosso dei tetti e delle case e la Grassa per la sua gastronomia famosa in tutto il mondo.
I PORTICI
Bologna è la città dei portici, oltre 40 km solo nel centro storico. Durante la bella stagione sono un'ottima protezione dal sole, nei mesi più freddi, invece, riparo perfetto dalla pioggia. La loro origine è in parte dovuta alla forte espansione che la città ebbe nel Medioevo, quando l'università divenne un importante polo d'attrazione per studenti e letterati, da qui la necessità di sfruttare al massimo gli spazi espandendo i piani superiori delle case.
Il più famoso portico è quello di quasi 4 km che dal centro di Bologna porta alla Chiesa di San Luca, simbolo di Bologna.
LE TORRI
Le torri di Bologna, di origine medioevale, sono uno dei tratti più caratteristici della città; nel Medioevo sarebbero state circa cento tra torri e case-torri, queste strutture avevano una funzione sia militare che gentilizia: davano prestigio alla famiglia che ne ordinava la costruzione. Oggi ne esistono ancora diciassette.
Le due torri sono il monumento simbolo della città: la Torre degli Asinelli (97,20 metri, la torre pendente più alta d'Italia) e la Torre della Garisenda (in origine alta 60 metri, ora 48).
BOLOGNA DA VISITARE
Cuore della città è Piazza Maggiore, qui si trova la Basilica di San Petronio: la chiesa più importante ed imponente di Bologna oltre ad essere la quinta chiesa più grande del mondo, i lavori di costruzione della Basilica iniziarono nel 1390 ma andarono avanti per secoli. Se vi recate in visita alla Basilica di San Petronio non potrete far a meno di notare la Meridiana più grande del mondo costruita dal matematico Cassini per dimostrare che era la Terra a girare intorno al Sole, e non viceversa com'era credenza del tempo.
Da visitare assolutamente il complesso di Santo Stefano, in piazza Santo Stefano, noto anche come "le sette chiese" a causa della sua notevole articolazione in numerose chiese e cappelle collegate da un cortile e da un chiostro. Il nucleo originale fu edificato nell' VIII secolo su un tempio pagano del II secolo dedicato alla dea egizia Iside.
BOLOGNA E L'ACQUA
Forse lo sanno in pochi, ma Bologna è sempre stata una città d'acqua, una piccola Venezia che ora è in gran parte nascosta, dimenticata per decenni, tanto che la gran parte dei canali sono stati interrati negli anni '50. La natura "acquatica" di Bologna è stata riscoperta recentemente dagli stessi abitanti che stanno cercando di rivalutarla; qua e là, in giro per il centro storico, si scorgono chiuse, torrenti seminascosti, si sente il rumore dell'acqua ma non la si vede.
BOLOGNA DA MANGIARE
La fama internazionale della cucina bolognese risale al Medioevo: erano presenti in città potenti famiglie signorili, presso le cui corti servivano i cuochi più celebrati, ma la tradizione gastronomica è anche fortemente legata all'università, infatti l'affluenza di studenti e professori provenienti da ogni parte del mondo rese necessario un arricchimento della cultura gastronomica. Protagoniste della tavola sono la pasta all'uovo e la carne di maiale; dalle diverse combinazioni di questi due ingredienti nascono alcune delle ricette tipiche bolognesi, come le tagliatelle al ragù, le lasagne e i tortellini in brodo; sempre dalla carne di maiale nasce la mortadella, un salume tipico da cui si ricava anche il ripieno per i tortellini.
Ora prova a rispondere alle seguenti domande:
1- Dove si trova Bologna?
2- Perché è detta la Dotta, la Rossa e la Grassa?
3- Quale periodo storico ricorda l'architettura di questa città?
4- Qual è l'origine dei portici?
5- Che funzione avevano le torri?
6- Qual è la chiesa più grande della città?
7- Come viene anche chiamato il complesso di Santo Stefano?
8- Perché Bologna era considerata una "piccola Venezia"?
9- Quali sono gli ingredienti principali della cucina bolognese?
10- Hai mai assaggiato un piatto della cucina bolognese?
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[post_content] => L'esercizio che segue è sulle espressioni idiomatiche che contengono il verbo "parlare"; per ripassare questo argomento potete leggere questo articolo: www.zanichellibenvenuti.it/wordpress/
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[post_content] => Il prossimo esercizio è sulle interrogative dirette e le interrogative retoriche, volitive e dubitative.
Per ripassare questo argomento potete leggere questo articolo: www.zanichellibenvenuti.it/wordpress/
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[post_content] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, questa settimana ripassiamo gli argomenti trattati di recente sul blog.
Il seguente esercizio è sulla concordanza dell'aggettivo qualificativo, se non ricordate bene questo tema, potete leggere il relativo articolo prima di affrontare il test: www.zanichellibenvenuti.it/wordpress/
Buon test!
Prof. Anna
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[post_content] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, oggi continuiamo e concludiamo lo studio delle frasi interrogative dirette prendendo in esame tipi particolari di interrogative, che possiamo considerare "domande non domande", vediamo insieme come sono costruite e cosa esprimono.
Buona lettura!
Prof. Anna
Non tutte le frasi interrogative sono domande vere e proprie, cioè richieste di informazioni, a volte chi parla si serve di espressioni sotto forma di domanda per coinvolgere, spronare la persona con cui sta parlando o manifestare il proprio stato di incertezza o perplessità; in questi casi abbiamo le interrogative volitive, retoriche e dubitative.
• Interrogative volitive→ contengono, in forma di domanda, un consiglio, un divieto, un'esortazione, un invito; le varietà di questo tipo di domande sono numerose, sono espresse in forma negativa (con non):
→ "perché non cominci a fare sport?" (consiglio);
→ "non dovresti lavorare adesso?"; "e se ti mettessi a lavorare?"; "vuoi metterti a lavorare?" (esortazione);
→ "perché non vieni al cinema con noi?" (invito);
→ "non ti metterai mica a guardare la TV?" (divieto).
• Interrogative retoriche→ sono frasi che, anche se sono in forma di domanda, sono vere e proprie affermazioni; queste frasi sono espresse in forma negativa e si presume e si vuole che si risponda in maniera positiva:
→ "non sono troppo stretti questi pantaloni?" (cioè chi parla pensa che i pantaloni siano troppo stretti); "non credi che Maria abbia esagerato?" (chi parla crede che Maria abbia esagerato); "non fa caldo?" (chi parla afferma e crede che faccia caldo).
In assenza della negazione non, possono essere anche contrassegnate da -vero- o -non è vero-:
→ "ti sei annoiato, vero?";
→ "è molto noioso questo libro, non è vero?".
Un tipo di interrogativa retorica in forma negativa è quello che chi parla rivolge a chi ascolta per ricordargli fatti o propositi che quest'ultimo sembra aver dimenticato, spesso come rafforzativo si usa -ma- come elemento introduttivo:
→ "ma non dovevamo andare al cinema stasera?" (Sì, me ne sono dimenticato);
→ "non dovevi venirmi a prendere da scuola?" (Sì, me ne sono dimenticato).
• Interrogative dubitative→ questo tipo di interrogativa esprime un dubbio o una supposizione, un sentimento di meraviglia; di solito non richiede una risposta.
Se è introdotta da che vuole il congiuntivo:
→ "vedo qualcuno che arriva in bicicletta. Che sia Andrea?";
→ "ho visto qualcuno che arrivava in bicicletta. Che fosse Andrea?".
Se è introdotta da -(e) se- può avere il congiuntivo (imperfetto o trapassato) o l'indicativo:
→ "non prendo l'ombrello" "E se piovesse-piove-pioverà?".
Il valore dubitativo può essere espresso anche dall'indicativo futuro:
→ "che ore saranno?";
→ "come si dirà in inglese questa frase?".
Per esprimere incertezza su quello che va fatto si può avere anche l'infinito:
→ "Che fare? Dove andare?"
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[post_content] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, oggi arricchiremo il nostro lessico con alcune espressioni idiomatiche formate con il verbo "parlare", queste espressioni sono molto frequenti soprattutto nella lingua parlata quindi conoscerle è molto utile per la comunicazione e la comprensione.
Buona lettura!
Prof. Anna
• parlare del più e del meno → parlare, conversare di argomenti diversi, di solito banali o poco importanti:
- "non abbiamo affrontato questioni di lavoro, abbiamo solo parlato del più e del meno";
• parlare a vanvera → parlare senza riflettere, dire cose senza senso, fuori luogo:
- "meglio tacere piuttosto che parlare a vanvera";
• parlare a quattr'occhi → parlare in privato, a tu per tu:
- "ho una cosa importante da dirti e vorrei parlarti a quattr'occhi";
• parlare al muro, parlare al vento → parlare a qualcuno che non presta attenzione, che non reagisce a quello che gli viene detto, parlare inutilmente:
- "parlare con te è come parlare al muro, non ascolti mai";
• parlarsi addosso → parlare troppo di sé in modo eccessivamente compiaciuto:
- "da quando ha avuto quella promozione al lavoro, non fa altro che parlarsi addosso";
• parlare come un libro stampato → esprimersi con grande proprietà di linguaggio, o trattare un argomento con estrema precisione anche con una sfumatura di pedanteria e presunzione:
- "Luca è molto noiso, parla sempre come un libro stampato!";
• parlare dietro le spalle → criticare qualcuno in sua assenza:
- "Maria e Silvia sembrano amiche, ma si parlano dietro le spalle";
• parlare per dar aria ai denti → dire sciocchezze:
"non ascoltarlo, parla per dar aria ai denti!";
• non me ne parlare! → espressione che si usa a proposito di un argomento che si vuole evitare perché fastidioso o doloroso o per riferirsi a fatti che si sono sperimentati personalmente:
- "sei mai andato in quel nuovo ristorante?" "Non me ne parlare! Si mangia male e si spende troppo!";
• senti chi parla! → si usa questa espressione per sottolineare che la persona che dice o che ha detto deteriminate cose è proprio la meno adatta a dirle:
- "Mia sorella mi dice sempre di mangiare meno dolci, ma senti chi parla! Lei ne mangia in continuazione!";
• non se ne parla neanche! → neanche per idea!:
"posso uscire con i miei amici stasera?" "Non se ne parla neanche! Domani devi andare a scuola".
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[post_content] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, oggi continuiamo il nostro studio della frase compessa, in particolare vedremo le proposizioni interrogative dirette,ovvero le frasi che contengono una domanda diretta.
Buona lettura!
Prof. Anna
Nella lingua parlata le interrogative dirette sono caratterizzate da un'intonazione ascendente fino all'ultima sillaba della parola; nella lingua scritta sono segnalate dal punto interrogativo: "hai già mangiato?".
Spesso, sia nel parlato che nello scritto sono introdotte da elementi grammaticali interrogativi (chi, che, perché, dove, quando ecc.). Il soggetto a volte si trova dopo il verbo o anche alla fine della frase: "è arrivato Luca?".
TIPI DI INTERROGATIVA
• Interrogativa totale→ una interrogativa si dice totale quando la richiesta di informazione riguarda l'intero contenuto della frase e quindi le risposte possibili sono -sì-, -no- , -non lo so-. Per questo tipo di frase non c'è bisogno di nessun elemento introduttivo: "mi presti la tua matita?" (-sì-, -no-).
• Interrogativa parziale→ si dice paziale una interrogativa in cui la richiesta di informazione è limitata a un solo elemento del suo contenuto, questo elemento viene indicato dalla parola interrogativa (un aggettivo, un pronome o un avverbio) che introduce la frase (chi, che, quale, perché, quando, dove, come ecc.): "dove vai?".
• Interrogativa disgiuntiva→ è formata da due o più possibilità di risposte alternative, anche questo tipo di frase è aperto a poche possibili risposte: "sei stato al mare o in montagna?".
IL MODO VERBALE DELLE INTERROGATIVE
Il modo verbale più frequente è l'indicativo: "quale vestito preferisci?"; molto frequente è anche il condizionale per fare domande, con una sfumatura di sorpresa, meraviglia o disapprovazione, su un fatto probabile o ipotetico: "tu cosa faresti?".
Il congiuntivo si può usare in domande di tipo dubitativo: "sento dei rumori, che sia il vento?".
In alcuni casi in cui si esprimono reazioni di meraviglia o di rifiuto si può usare l'infinito, che, proprio perché non ha né tempo né persona, concentra tutta l'attenzione sull'azione: "ora devi metterti a studiare" "studiare io? Oggi non ne ho voglia"; "io mangiare questa roba? Non credo proprio!".
LE FRASI INTERROGATIVE NEL PARLATO
La frase interrogativa è molto frequente nella lingua parlata, le interrogative presentano infatti una ricca varietà espressiva, spesso la frase è introdotta da elementi che servono a esprimere meraviglia o sorpresa: -e-, -e che-: "e tu che ci fai qui?"; "e che, vorresti avere ragione?"; oppure da elementi che esprimono contrarietà: -ma-: "ma che dici?"; o che servono per richiamare l'attenzione: -che-: "che, mi faresti un favore?".
L'avverbio -mai- può trovarsi dopo l'elemento introduttivo e sottolinea la particolare partecipazione emotiva del soggetto:
- "come mai sei arrivato così tardi?"- "quando mai avrei detto queste cose?"- "che cosa avrò mai fatto di tanto grave?".
[post_title] => La frase complessa: le proposizioni interrogative dirette
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[post_content] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, spero abbiate passato delle buone feste e auguro nuovamente un felice anno nuovo a tutti!
Oggi approfondiremo la concordanza dell'aggettivo qualificativo con il nome o i nomi a cui si riferisce, vedremo caso per caso come si comporta e come si concorda l'aggettivo qualificativo.
Buona lettura!
Prof. Anna
Ricordiamo che l'aggettivo è una parte variabile del discorso che si accompagna al nome da cui sintatticamente dipende per qualificarlo o determinarlo, a questo nome si accorda nel genere e nel numero.
Vediamo ora come si accorda l'aggettivo nei seguenti casi:
• in presenza di più nomi:
⇒ se i nomi sono dello stesso genere, diventa plurale e si accorda ad essi nel genere:
- ho comprato un cappotto e un cappello nuovi;
- ho comprato una matita e una penna gialle;
⇒ se i nomi sono di genere diverso, l'aggettivo assume la terminazione del maschile plurale:
- ho comprato una matita e un penarello gialli;
• in presenza di più aggettivi→ se un nome al plurale è seguito da più aggettivi qualificativi:
⇒ questi saranno al plurale e dello stesso genere del nome quando ne indicano caratteristiche affini:
- ho incontrato amici vecchi e nuovi;
- sono persone simpatiche e intelligenti;
⇒ saranno invece al singolare se si riferiscono a entità differenziate indicate dal nome:
- i popoli italiano, francese, spagnolo, albanese e greco sono mediterranei;
- i colori nero, giallo e azzurro sono i miei preferiti;
• in presenza della congiunzione -o-
⇒ se due o più nomi congiunti da -o- sono seguiti da un aggettivo che si riferisce a tutta la serie, di solito l'accordo si fa con l'ultimo nome:
- hai comprato un cappello o una sciarpa nuova? (ma è corretto anche: nuovi);
• in presenza di nomi collettivi → in presenza di un nome collettivo seguito da un complemento partitivo al plurale , l'aggettivo concorda con il nome se è subito vicino, altrimenti concorda con il complemento:
- ho conosciuto un gruppo inglese di turisti;
- ho conosciuto un gruppo di turisti inglesi;
• un aggettivo che indica un colore, se è precisato da un sostantivo, resta invariato come il nome stesso:
- ha gli occhi azzurro cielo.
[post_title] => Concordanza dell'aggettivo qualificativo
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[post_content] => Cari lettori e care lettrici di Intercultura blog, questa settimana vedremo insieme i vari significati del verbo "avere", arricchirete così il vostro lessico e migliorerete la vostra capacità di comprensione e comunicazione.
Buona lettura!
Prof. Anna
Sicuramente conoscete già i significati più comuni del verbo "avere", infatti è un verbo molto usato e funge anche da verbo ausiliare nei tempi composti.
Il significato principale è quello di possedere, riferito a beni materiali (avere un'automobile), oppure a entità non materiali (avere fiducia) o con riferimento a qualità fisiche o psicologiche: (avere i capelli neri; avere coraggio). Con riferimento a questi significati vediamo alcuni modi di dire:
⇒ avere qualcosa per la testa = essere preoccupato;
⇒ averne per un pezzo = impiegare molto tempo in una determinata attività;
⇒ avere qualcuno dalla propria parte = avere l'appoggio di qualcuno;
⇒ avercela con qualcuno = provare antipatia o rancore per qualcuno.
Molto comune anche il significato di ottenere (avere un riconoscimento), o tenere (avere un pacco in mano), ma anche sentire, provare (avere fame, avere freddo).
Seguito da determinate preposizioni o altri elementi può assumere altri significati, vediamo quali:
• seguito dalla preposizione -da- e un verbo all'infinito indica obbligazione: "ho da lavorare" (= devo lavorare); "ho da dirti qualcosa" (= devo dirti qualcosa), da questo uso derivano alcuni modi di dire:
⇒ avere altro da fare (da pensare) = dovere fare o pensare a cose più importanti;
⇒ (non) avere a che fare con qualcuno o qualcosa - (non) avere a che vedere con qualcuno o qualcosa = avere (o non avre) rapporti con qualcuno o qualcosa: "non voglio avere a che fare con te" (non voglio avere nessun rapporto con te);
⇒ avere a che dire - da dire con qualcuno = litigare con qualcuno;
• seguito da un aggettivo o sostantivo, qualche volta con la preposizione -a- o -in- in posizione intermedia, trasferisce il suo valore verbale all'aggettivo o al sostantivo: avere cura = curare; avere in odio = odiare; avere a mente = ricordarsi; avere a cuore = interessarsi; avere luogo = svolgersi; anche da quest'uso derivano alcuni modi di dire:
⇒ avere presente qualcuno o qualcosa = ricordarsi di qualcuno o qualcosa ("hai presente quella ragazza?" = "ti ricordi di quella ragazza?");
⇒ aversela a male = offendersi;
• seguito dalla preposizione -a- e un verbo all'infinito trasferisce il valore del suo tempo e modo al verbo che lo segue, quest'uso è soprattutto un uso letterario: ebbe a dire (=disse).
[post_title] => I molti significati del verbo "avere"
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