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                    [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, siete pronti per affrontare il test?

Come di consueto, ripasseremo gli argomenti trattati insieme nelle ultime settimane.

Nel prossimo esercizio dovete scegliere se inserire "ce ne", "ce n'è", "centra", "c'entra". Fate attenzione alle maiuscole.

Se non vi sentite ancora sicuri su questo argomento, vi consiglio di ripassarlo leggendo questo articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2018/09/27/come-si-scrive-ce-ne-o-ce-ne-centra-o-centra/

 

Buon test!  ;-)
                    [post_title] => Test 57- "Ce n'è" o "ce ne"? "C'entra" o "centra"?
                    [post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, siete pronti per affrontare il test? Come di consueto, ripasseremo gli argomenti trattati insieme nelle ultime settimane. 
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                    [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, in italiano la pronuncia della vocale e all'interno di una parola può essere problematica. Qual è la pronuncia corretta? È aperta o è chiusa? Ci sono alcune indicazioni generali che ci aiutano in questa scelta. Vediamole insieme.

Buona lettura!

Prof. Anna

In italiano la differenza tra vocali aperte e chiuse non si vede nella trascrizione grafica, poiché lo stesso grafema e rappresenta sia la vocale aperta sia quella chiusa. Quando è necessario distinguere l'apertura della vocale (per esempio in testi tecnici come le grammatiche e i vocabolari o per distinguere le parole omografe), si possono contrassegnare le vocali aperte con l'accento grave (pèzzo) e le vocale chiuse con l'accento acuto (téla).

Quando non vi cade l'accento la e ha sempre un suono chiuso.

Non esistono regole generali per stabilire quando la e tonica (accentata) è aperta o chiusa. Soltanto per alcuni gruppi di parole è possibile dare indicazioni sulla pronuncia della vocale tonica.

La e è generalmente aperta:

• nelle parole che finiscono in -èllo, -èlla (cancèllo, padèlla); -èrio, -èria (critèrio, fèria); -èstro, -èstre, -èstra (palèstra, campèstre, canèstro); maestro e maestra hanno la doppia pronuncia, aperta e chiusa; -èzio, - èzia (inèzia, scrèzio);

• nei gerundi in -èndo, nei participi presenti in -ènte (corrèndo, vedènte);

• quando fa parte del dittongo -- (fièno, sièpe, allièvo, piède). Fanno eccezione i casi in cui il dittongo è compreso in suffissi che vogliono la e chiusa come -ètto, -èzza (armadiétto, ampiézza).

La e è generalmente chiusa:

• nelle parole che finiscono in -éccio (caseréccio, mangeréccio); -éggio (noléggio, contéggio); -ése (paése, bolognése); -ézza (altézza, magrézza); -ménto (miglioraménto, abbigliaménto);

• negli infiniti in -ére con accento sulla desinenza (bére, piacére);

• negli avverbi in -ménte (lentaménte);

• nei diminutivi in -étto, -étta (librétto, animalétto); le parole che finiscono in -etto, -etta ma non sono diminutivi non seguono una regola precisa: brevétto, bigliétto, tétto, ma affètto, aspètto, concètto.

Ci sono casi di parole omografe che si differenziano solo per il timbro della e. Ecco alcuni esempi. Vi consiglio di pronunciarle ad alta voce mentre le leggete, vi renderete conto meglio della differenza.

⇒ accetta: -accètta (indicativo presente del verbo accettare); -accétta (scure, ascia);

⇒ affetto: -affètto (passione); -affétto (indicativo presente di affettare);

⇒ esca: -èsca (congiuntivo presente di uscire); -ésca (per pescare);

⇒ legge: -lègge (indicativo presente di leggere); -légge (norma, regola);

⇒ mente: -mènte (indicativo presente di mentire); -ménte (cervello, ingegno);

⇒ messe: -mèsse (raccolta di cereali); -mésse (plurale di messa, participio passato di mettere);

⇒ pesca: -pèsca (frutto); -pésca (dei pesci);

⇒ tema: -tèma (componimento scritto); -téma (congiuntivo presente di temere);

⇒ venti: -vènti (plurale di vento); -vénti (numero).

Anche mentre svolgete l'esercizio vi consiglio di pronunciare le parole, vi sarà sicuramente d'aiuto.
                    [post_title] => La pronuncia della vocale "e"
                    [post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, qual è la pronuncia corretta della "e" all'interno di una parola? Quando è aperta e quando invece è chiusa? Alcune indicazioni generali ci aiutano in questa scelta. Vediamole insieme.
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                    [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, aprite bene le orecchie, perché oggi arricchiremo il nostro lessico. Vedremo quali sono i modi di dire che contengono la parola orecchio e qual è il loro significato.

Buona lettura!

Prof. Anna

• aprire le orecchie → prestare la massima attenzione a ciò che si sta per ascoltare; spesso questa espressione viene usata come ammonimento a chi contravviene un ordine impartito: aprite bene le orecchie: non voglio più vedere questo disordine!; a orecchio → riferito a chi suona o canta, farlo senza avere davanti uno spartito o senza conoscere bene il brano che si esegue. In senso lato, riferito a un discorso o simili, parlare per sentito dire o senza conoscenza diretta dell'argomento, oppure improvvisando su un tema cui non si era preparati, regolandosi secondo la situazione che si ha di fronte: suonare a orecchio; cantare a orecchio; andare a orecchio;

• allungare, tendere le orecchie → cercare di ascoltare un discorso altrui, o di carpire informazioni varie, senza farsi notare: tenere le orecchie tese, stare con le orecchie tese;

• avere orecchio → avere un udito molto acuto e in particolare avere grande attitudine a percepire con precisione l'armonia dei suoni o l'intonazione delle note musicali, essere intonato;

• avere l'orecchio fine → sentirci molto bene, avere un udito particolarmente sensibile e sviluppato, anche in senso figurato;

• avere gli orecchi/le orecchie foderate di prosciutto → non sentire o fingere di non sentire, come se si avessero le orecchie coperte da grosse fette di prosciutto che non lasciano passare i suoni;

• essere tutt'orecchi → essere molto concentrati e attenti nell'ascoltare qualcosa, ascoltare con estrema curiosità: parla pure, sono tutt'orecchi;essere duro d'orecchio/d'orecchi/d'orecchie → essere sordo o sentire molto poco, in senso figurato si dice di chi non vuole capire o fa finta di non capire;

• entrare da un orecchio e uscire dall'altro → si dice di cosa udita e subito cancellata dalla memoria; si dice in genere di un consiglio, un suggerimento o simili che la persona cui è diretto ignora completamente, come se gli attraversasse fugacemente il cervello e  ne uscisse senza lasciar traccia: le mie parole gli sono entrate da un orecchio e uscite dall'altro, non mi ha ascoltato minimamente;

• fare orecchie da mercante → fingere di non sentire, di non capire, come i mercanti che udivano solo quello che faceva loro comodo invocando la confusione della piazza del mercato;

• mettere una/la pulce nell'orecchio → insinuare dubbi, sospetti, curiosità: mettere la pulce nell'orecchio a qualcuno; mi hai messo la pulce nell'orecchio;

• anche i muri hanno orecchi → si dice di luogo o ambiente in cui vi siano spie o simili pronte a carpire ogni confidenza o segreto;

• rizzare le orecchie → mostrare un interesse improvviso per un discorso che si sente, e quindi ascoltarlo con estrema attenzione, questa espressione deriva dall'osservazione degli animali, che quando avvertono un pericolo o un rumore sconosciuto rizzano le orecchie per captarlo meglio;sentirsi fischiare le orecchie → un’antica credenza vuole che se qualcuno parla di una persona assente, questa si senta fischiare le orecchie: mi fischiano le orecchie, chissà chi mi sta pensando?;tapparsi le orecchie → rifiutarsi di ascoltare;

• tirare le orecchie a qualcuno → rimproverare qualcuno.
                    [post_title] => Modi di dire con la parola "orecchio"
                    [post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, aprite bene le orecchie, perché oggi arricchiremo il nostro lessico. Vedremo quali sono i modi di dire che contengono la parola "orecchio" e qual è il loro significato.
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                    [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, a volte ci sono dei dubbi sulla grafia di alcune espressioni, soprattutto se sono formate da particelle pronominali contratte o da forme verbali particolari.

Facciamo un po' di chiarezza su due espressioni in particolare in modo da non sbagliare mai più!

Buona lettura!

Prof. Anna

CE N'È o CE NE?

L'espressione ce n'è è la forma contratta di ce ne è, con elisione della e di ne. Ma di quale verbo si tratta? Si tratta della terza persona singolare del verbo esserci unito alla particella ne: essercene.

A volte questa espressione viene scritta in modo non corretto, ad esempio può essere confusa con ce ne (ce ne siamo andati) oppure con forme che non esistono e sono quindi scorrette come "ce né" o "c'è ne".

Analizziamo più da vicino i diversi elementi che formano questa espressione:

• ce→ è la forma che assume il pronome ci davanti ai pronomi lo, la, li, le (ce li ha regalati; non ce lo ha dato) e davanti alla particella ne (ce ne siamo andati presto, non ce ne importa nulla);

• n'è→ è la forma contratta di ne è (con elisione della e di ne); ne ha funzione di pronome personale o dimostrativo, si riferisce a persone o cose già nominate, come complemento di argomento, specificazione e partitivo (di lui, di lei, di loro, di questo, di questa, di questi, di queste).

L'espressione ce n'è contiene quindi un verbo, il verbo esserci: di torta, non ce n'è più.

Ce ne è una combinazione di particelle pronominali (ci+ne), che sarà seguita da un verbo. La particella ne potrà avere funzione di pronome personale o dimostrativo:  ce ne siamo dimenticati (ci siamo dimenticati di ciò) oppure di avverbio di luogo col significato di: di qui, di qua, di lì, di là, da qui, da qua, da lì, da là : ce ne siamo andati (siamo andati via di lì).

C'ENTRA o CENTRA?

Entrambe le grafie esistono e sono corrette ma hanno significati diversi.

Cosa c'entra? Non c'entra niente. Nel significato di "avere attinenza" la grafia corretta è c'entra. 

Si tratta di una voce del verbo entrare preceduta da ci in funzione di avverbio di luogo.

La forma verbale entrarci significa sia "poter essere contenuto in qualcosa": questo vestito nella valigia non ci entra! sia "avere attinenza, avere a che fare con qualcosa": è un discorso che non c'entra niente! Cosa c'entra?

Nel gerundio, nel participio e nell'infinito la particella ci segue la voce verbale: avete detto di non entrarci nulla.

Il verbo centrare ha un significato diverso. Significa "colpire nel centro, colpire in pieno": centrare un bersaglio; in senso figurato "individuare, mettere a fuoco con precisione il nucleo, l'essenza di qualcosa":  centrare un problema; "conseguire in pieno": centrare l'obiettivo; centrare il personaggio di attore che interpreta bene una parte; "fissare nel centro": centrare il compasso.
                    [post_title] => Come si scrive: "ce n'è" o "ce ne"? "C'entra" o "centra"?
                    [post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, a volte ci sono dei dubbi sulla grafia di alcune espressioni, soprattutto se sono formate da particelle pronominali contratte o da forme verbali particolari. Facciamo un po' di chiarezza su due espressioni in particolare in modo da non sbagliare mai più!
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Spero abbiate passato una piacevole estate. Oggi cominciamo un nuovo anno insieme e lo facciamo raccontando la storia di una delle parole italiane più famose del mondo: ciao.

Da dove viene questo saluto? Quando si è diffuso in Italia?

Scopriamolo insieme.

Buona lettura!
Prof. Anna

Vi ricordo che se ci sono parole che non conoscete, potete consultare il dizionario on-line: basta cliccare due volte sulla parola e si aprirà una piccola finestra, cliccando una volta su questa finestra apparirà il significato.

LE ORIGINI

Quest'anno ciao compie 200 anni. É la parola italiana più celebre dopo pizza.

Qual è la sua origine? Sembra che ciao derivi dal latino sclavum (schiavo), variante di slavum quando a essere ridotte in schiavitù erano le genti di provenienza slava. A partire dal Quattrocento si introduce l'abitudine di salutare qualcuno dichiarandosi suo schiavo, mettendosi simbolicamente a disposizione dell’altro come uno schiavo si esprimeva profondo rispetto, da qui la parola ciao che origina dal termine veneziano s'ciavo con cui si intendeva dire appunto "sono schiavo vostro". É a partire dall'Ottocento però che si diffuse come saluto informale dapprima in Lombardia, dove il termine s'ciavo venne alterato assumendo la forma ciao ed è proprio questa variante che si propagherà in tutta la Penisola.

LA DIFFUSIONE IN ITALIA

Ma perché ciao compie 200 anni? Perché risale a due secoli fa la sua prima attestazione scritta. Infatti nel 1818 Francesco Benedetti, tragediografo di Cortona, in una lettera parla del modo gentile in cui viene trattato dai milanesi e da una signora con cui si reca alla Scala: «Questi buoni Milanesi cominciano a dirmi: Ciau Benedettin».  Sempre di quello stesso anno è un’epistola di Giovanna Maffei, contessa veronese, che porge a suo marito i saluti del figlio ancora piccolo: «Peppi à appreso a dire il tuo nome, e mi disse di dir ciao a Moti». L’anno successivo, nel 1819, Lady Sidney Morgan, scrittrice inglese, descrive il modo in cui alcuni spettatori presenti presso la Scala si salutano con un «cordial ciavo».

LA DIFFUSIONE ALL'ESTERO

Nel 1959 Domenico Modugno vinse a Sanremo con Johnny Dorelli cantando Piove. In realtà quella canzone resterà nella memoria per il ritornello: «Ciao ciao bambina», che presto si diffonderà all’estero nella trascrizione inglese «Chiow Chiow Bambeena», in quella tedesca «Tschau Tschau Bambina», in quella spagnola «Chao chao bambina». Dalida la cantò nella versione francese. Il linguista Nicola De Blasi (nel libro «Ciao», pubblicato dal Mulino) sostiene che la canzone di Modugno e di Dino Verde rappresentò la svolta decisiva nella fortuna internazionale della parola ciao, la forma di saluto più familiare che si conosca non solo in Italia. In realtà, segnala De Blasi, il termine era già noto oltre i confini nazionali: in un romanzo francese di Paul Bourget del 1893, un personaggio diceva in italiano «Ciaò, simpaticone» e nei primi del Novecento veniva suonato un valzer intitolato «Ciao». Il saluto filtrò ben presto nei film neorealisti e nelle commedie all’italiana nel momento in cui il nostro cinema aveva un successo mondiale.

La parola si è diffusa per il mondo a seguito delle migrazioni degli italiani, ed è entrata come saluto informale anche nel lessico di numerose altre lingue, quasi sempre unicamente per il commiato.

DAL CINEMA AI GIORNALI

Nel film di Monicelli I soliti ignoti, del 1958, Gassman saluta l’amico Capannelle ricoverato in ospedale con le parole «Addio, ciao, bello». Insomma, il nostro ciao si diffonde nel mondo sulle ali del boom economico come «icona quasi fonosimbolica» e del diffondersi del «tu» nei rapporti personali. Tant’è che nel 1967, l’anno tragico per Sanremo in cui Tenco presenta Ciao amore ciao, la Piaggio decide di battezzare «Ciao» un suo motorino che con lo slogan pubblicitario «Bella chi ciao» punta sul pubblico giovanile. E ai lettori giovani, l’anno dopo, si rivolge anche il settimanale illustrato «Ciao 2001», mentre a grandi e bambini viene proposta la crema al cioccolato «Ciaocrem».

NELLE CANZONI

Il ’68 è l’anno in cui sempre a Sanremo Luis Armstrong duetta con Lara Saint Paul cantando Ciao, stasera son qui. L’irresistibile ascesa di ciao giunge all’apoteosi nel 1990 con la mascotte eponima dei Mondiali di calcio. E attualmente, dopo pizzaciao è la parola italiana più pronunciata nel mondo fino a  ciao raga, ciao neh, ciaone. «Questa mattina mi son svegliato, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao»: va detto che il canto intonato dai partigiani, che si sarebbe imposto molto dopo come inno politico di resistenza e di liberazione, fu lanciato grazie anche a iniziative commerciali prestigiose come il disco di canti popolari italiani interpretati da Yves Montand. Il più celebre etnomusicologo, Roberto Leydi, dimostrò che Bella ciao è radicata nella tradizione popolare perché risale a un canto piemontese dell’Ottocento dove però manca la parola ciao, che invece compare in un canto delle mondine anni Quaranta.

Tratto dalle seguenti fonti: https://www.corriere.it/cronache/18_giugno_24/ciao-compie-solo-200-anni-parola-italiana-piu-celebre-pizza-ecd8e05a-7720-11e8-b055-7e55445aba73.shtml; https://it.wikipedia.org/wiki/Ciao

Ora provate a rispondere alle seguenti domande.

1- Qual è la parola italiana più pronunciata nel mondo?

2- Qual è l'origine e qual è il significato della parola ciao?

3- In quale regione italiana si diffuse inizialmente questa forma di saluto?

4- Era usato come saluto formale o informale?

5- Quale canzone  segnò il punto di svolta per la fama della parola ciao al di fuori dell'Italia?

6- Nelle altre lingue questo saluto è usato principalmente per salutarsi quando ci si incontra o quando ci si separa?

7- Utilizzi questo saluto nella tua lingua di origine?

 

 
                    [post_title] => La parola "ciao" compie 200 anni. Storia del saluto più conosciuto del mondo.
                    [post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, bentrovati! Oggi cominciamo un nuovo anno insieme e lo facciamo raccontando la storia di una delle parole italiane più famose del mondo: "ciao".

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                    [post_content] => Con il prossimo esercizio ripassiamo sùbito (o subìto?) alcune parole omografe, cioè scritte allo stesso modo, che si pronunciano diversamente a seconda del significato che assumono.

Per ripassarle potete lèggere (o leggère?) questo articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2018/05/24/quando-laccento-fa-la-differenza/
                    [post_title] => Test 56- Quando l'accento fa la differenza
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                    [post_content] => Incrementiamo il nostro lessico! Ripassiamo i suffissi che servono a formare aggettivi da verbi, verbi da aggettivi e verbi da nomi.

Per ripassare questo argomento: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2018/06/14/la-formazione-della-parole-i-suffissi-aggettivi-da-verbi-verbi-da-nomi-verbi-da-aggettivi/

In caso di dubbi, vi consiglio di consultare un vocabolario.
                    [post_title] => Test 56- La formazione delle parole: i suffissi (aggettivi da verbi; verbi da nomi; verbi da aggettivi)
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                    [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, i vostri amici dicono che avete la testa sulle spalle? O preferireste avere le spalle larghe? Ripassiamo insieme il significato delle espressioni con la parola spalle.

Buon test!

Prof. Anna

Nel prossimo esercizio dovrete scegliere il significato corretto delle espressioni proposte. Per ripassare questo argomento, vi consiglio di leggere il seguente articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2018/05/17/espressioni-con-la-parola-spalle/
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                    [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, oggi concludiamo il nostro studio sulla formazione delle parole tramite i suffissi.

Vedremo quali sono i suffissi che servono a formare aggettivi da verbi, verbi da aggettivi e verbi da nomi.

Buona lettura!
Prof. Anna

I principali suffissi che servono a formare aggettivi da verbi sono:

• -ante, -ente: participi presenti con funzione di aggettivo: incoraggiare → incoraggiante; diffidare → diffidente; numerosi aggettivi in -ante, -ente possono essere usati come nomi: un calmante, un dipendente, un militante ecc.;

• -ivo: la base è data dal participio passato del verbo: fuggire → fuggitivo; detergere → detersivo, o da una forma colta (ad esempio adesivo deriva dal participio passato adhaesus del verbo latino adhaerere). Spesso gli aggettivi in -ivo sono usati anche come nomi (il detersivo, il fuggitivo);

• -evole: lodare→lodevole; biasimare→biasimevole. Gli aggettivi in -evole derivanti da verbi possono avere valore passivo (ammirare→ammirevole, "che deve essere ammirato") o attivo (girare→girevole, "che gira");

• -bile: questo suffisso forma aggettivi di senso passivo che indicano possibilità: giustificare→giustificabile; impermeabilizzare→impermeabilizzabile.

I principali suffissi che servono a formare verbi da aggettivi sono:

• -are, -ire: attivo→attivare; marcio→marcire;

• -eggiare: largo→largheggiare; bianco→biancheggiare;

• -izzare: formale→formalizzare; stabile→stabilizzare;

• -ificare: puro→purificare; dolce→dolcificare.

I principali suffissi che servono a formare verbi da nomi sono:

• -are, -ire: salto→saltare; custode→custodire. Il suffisso -are ha come varianti -iare (potenza→potenziare) e -icare (neve→nevicare);

• -eggiare: albaalbeggiare; scena→sceneggiare;

• -ificare: personapersonificare; pietra→pietrificare;

• -izzare: scandalo→scandalizzare; terrore→terrorizzare.
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                    [post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, oggi vedremo quali sono i suffissi che servono a formare aggettivi da verbi, verbi da aggettivi e verbi da nomi.
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                    [post_content] => Ecco un esercizio sul periodo ipotetico dell'irrealtà.

Per ripassare questo costrutto, vi invito a leggere il seguente articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2012/03/29/il-periodo-ipotetico-dellirrealta/

 
                    [post_title] => Test di ripasso: il periodo ipotetico dell'irrealtà
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            [post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, siete pronti per affrontare il test?

Come di consueto, ripasseremo gli argomenti trattati insieme nelle ultime settimane.

Nel prossimo esercizio dovete scegliere se inserire "ce ne", "ce n'è", "centra", "c'entra". Fate attenzione alle maiuscole.

Se non vi sentite ancora sicuri su questo argomento, vi consiglio di ripassarlo leggendo questo articolo: https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2018/09/27/come-si-scrive-ce-ne-o-ce-ne-centra-o-centra/

 

Buon test!  ;-)
            [post_title] => Test 57- "Ce n'è" o "ce ne"? "C'entra" o "centra"?
            [post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, siete pronti per affrontare il test? Come di consueto, ripasseremo gli argomenti trattati insieme nelle ultime settimane. 
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