Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, i verbi modali possiedono alcune caratteristiche che li accomunano tra loro e li differenziano dagli altri verbi. Vediamo insieme quali sono.
Buona lettura!
Prof. Anna
I verbi modali (o servili) sono volere, potere, dovere e anche sapere e solere quando significano essere capace di, essere in grado di.
CARATTERISTICHE
Le caratteristiche che li accomunano sono:
- essere seguiti direttamente (cioè senza una preposizione) da un verbo all’infinito: posso venire, voglio studiare, devo riposare;
- l’identità di soggetto tra il verbo modale e l’infinito, cioè il soggetto del verbo modale è lo stesso dell’infinito che lo segue;
- la possibilità di collocare i pronomi atoni (mi, ti, lo, la, gli, le, si, ci, vi, li, le, gli) e le particelle ci e ne o prima del verbo servile (ti devo dire, ne voglio parlare) o dopo l’infinito (devo dirti, voglio parlarne).
SIGNIFICATO
I verbi dovere e potere possono avere diverse sfumature di significato.
Il verbo potere può:
- presentare i fatti come possibili col significato di avere la possibilità di, essere capace di, essere in grado di: ti risponderei se potessi (= se fossi capace di) leggere nel futuro;
- indicare un permesso col significato di avere il diritto di, essere autorizzato a fare qualcosa: se non hai finito di fare i compiti, non puoi ( = non sei autorizzato a) uscire.
Il verbo dovere può:
- presentare i fatti come probabili (è possibile, è probabile) e quindi assegnare all’infinito un significato di forte probabilità: “Che ore sono?” “Devono essere ( = quasi certamente sono) le sette”. Il maggior o minor gradi di certezza può essere indicato dal modo verbale, può essere l’indicativo: “Hanno suonato alla porta” “Devono essere gli ospiti” (forte probabilità); o il condizionale: “Dovrebbero essere gli ospiti” (buona possibilità);
- indicare un obbligo o una necessità e quindi significare avere l’obbligo di, avere bisogno di: dovete ( = avete l’obbligo di) rispettare la legge; i bambini piccoli devono ( = hanno bisogno di) dormire molto;
- avere valore di futuro: Marta deve compiere ( = compirà) quindici anni il prossimo novembre.
Il verbo sapere:
- ha un valore modale quando è seguito direttamente da un infinito e indica la capacità o la particolare abilità di compiere l’azione espressa dall’infinito stesso ( = essere capace di): non so nuotare; sa giocare bene a scacchi;
- quando invece è seguito da di + infinito significa conoscere, riconoscere: so ( = riconosco) di avere sbagliato.
IMPERATIVO
Per i verbi volere e potere il congiuntivo sostituisce anche la seconda persona singolare e plurale dell’imperativo.
Per la seconda persona plurale si usano le forme regolari:
- possiate; vogliate;
per il verbo potere per la seconda persona singolare si usa la forma regolare:
- possa;
per il verbo volere si usa un’antica forma ormai scorretta come forma del congiuntivo e di fatto specializzata come forma dell’imperativo:
- vogli (voglimi bene!).
Altri articoli su questo argomento pubblicati sul blog sono:
https://aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2010/04/22/i-verbi-modali/
10/10!
Ottimo risultato Francesco.
A presto
Prof. Anna
Accerttai tutti
Ancora due errori su 10:
6,8. Che asino!!!
Caro Rino, è comunque un buon risultato.
A presto
Prof. Anna
”Ho pensato che ti servisse”
”Ho pensato che ti potesse servire”
…Le due frasi, a parer mio, credo siano simili; ma la differenza sta nel fatto che nella seconda frase il verbo modale aggiunge una “modalità” al concetto espresso dal verbo che lo segue all infinito ”servire”: cioè aggiunge un’idea di possibilità o necessità rispetto alla prima frase senza il modale. Con il modale, nella seconda frase, indico la possibilità che qualcosa possa servirti, ma senza un’assoluta certezza, come se il modale funzionasse anche da attenuante relativamente all’infinito; mentre nella prima frase è come se la possibilità fosse esclusa: ”ho pensato che ti servisse, punto e basta, quasi categorico”. Infine, nella seconda frase il verbo ”servire” è accompagnato dal verbo modale ”potere”, e considerando che nella principale c’è un verbo che esprime incertezza, il verbo modale della subordinata (potere) è scritto al congiuntivo ”potesse”. Le due frasi esprimono contemporaneità al passato.
Cara Beatrice, tutto corretto.
Salve, è corretto il congiuntivo con il verbo “interessare”, in forma impersonale?
“Interessa che lo si faccia”
“Mi interessa che diciate la verità”
“Non mi interessa che Filippo sia una brava persona”
Caro Corrado, è corretto.
Se il verbo che segue il servile è intransitivo, si può usare sia “essere” che “avere”: es. “saremmo dovuti uscire prima” e “avremmo dovuto uscire prima”.
È esatto?
Caro Andrea, è esatto.
Verbo “Volere”:
Come verbo autonomo richiede l’ausiliare “avere”; se usato come verbo servile assume di solito l’ausiliare del verbo che lo accompagna. Es: “Tizio ha voluto il progetto” (verbo autonomo); “Tizio è voluto andare” (verbo servile perché si dice “è andato”; è comunque altrettanto corretto scrivere “Tizio ha voluto andare”).
Tutto corretto?
Cara Anna, è tutto corretto.
“Ma è possibile che vi facciate prendere in giro in questo modo?”
…Nella principale c’è un’espressione impersonale che richiede il congiuntivo “facciate” nella subordinata.
Esatto?
Cara Clara, è esatto.
Verbo volere:
1)”Voletemi bene!”
2)”Vogliatemi bene!”
La prima è all’imperativo, quindi è un comando, un’esortazione che è quasi un ordine. La seconda è al congiuntivo esortativo, quindi è un invito, un’esortazione più simile a una preghiera o a un consiglio, ovvero è una richiesta più attenuata. Entrambe giuste, ma una leggera preferenza per la seconda…
Penso sia giusto
Caro Filippo Maria, il verbo “volere” ha come imperativo solo le forme del congiuntivo esortativo, quindi: vogli tu; voglia egli, vogliamo noi, vogliate, voi, vogliano essi.
Ok, quindi per il verbo “volere” (ma anche per alcuni verbi come “essere”, “avere” o “sapere”) il congiuntivo (e quindi esortativo) sostituisce la 2a persona singolare (“tu”) e plurale (“voi”); la 3a persona singolare (“egli”) e plurale (“essi”). Ora, per la 2a persona plurale si usano le forme regolari (siate, abbiate, sappiate, vogliate), mentre per la 2a singolare si usano, invece, le antiche forme “sii, abbi, sappi, vogli” ormai scorrette come forme del congiuntivo e di fatto specializzate come forme dell’imperativo:
2a persona singolare:
1)Sii buono: falla finita!
2)Abbi rispetto del loro dolore
3)Sappi che è tutto vero
4)Voglimi bene lo stesso!
2a persona plurale:
1)Siate buoni!
2)Abbiate pazienza!
3)Sappiate che è tutto vero
4)Vogliatemi bene!
3a persona singolare:
1)Sia buono!
2)Abbia pazienza!
3)Sappia apprezzarlo!
4)Voglia scusarmi
3a persona plurale:
1)Siano ragionevoli!
2)Abbiano pazienza
3)Sappiano apprezzarlo
4)Vogliano scusarmi
…mentre per la maggior parte dei verbi, l’imperativo, per alcune persone, non segue il congiuntivo esortativo: infatti con il verbo “scusare”, ad esempio, per quanto riguarda la 2a persona plurale, diremo “Scusate l’insolenza!” e non “Scusiate l’insolenza!”.
Penso sia tutto corretto ora
Caro Filippo Maria, è corretto.
“Formazione dei verbi procomplementari”:
Allora, come ben sappiamo i verbi procomplementari sono quelle forme verbali in cui un verbo (che definiremo “di base”) si unisce stabilmente con uno o due particelle pronominali o avverbiali. E i procomplementari sono quei verbi in cui i pronomi non svolgono una funzione propria ma, unendosi saldamente al “verbo di base”, modificano, sensibilmente o no, il significato del verbo stesso. Quindi un verbo procomplementare (ovvero un verbo dal significato non precisamente letterale formato con l’aggiunta di uno o più pronomi atoni a un comune verbo) rientra nella più ampia categoria dei verbi pronominali. Ora, il gruppo pronominale aggiunto al verbo di base prende sì un significato più o meno preciso, ma bisogna considerarlo, piuttosto, come parte integrante della parola, alla stregua di un suffisso. Di conseguenza, il significato complessivo del verbo procomplementare può o essere vicino a quello del verbo base, a cui aggiunge o una sfumatura di partecipazione emotiva (come starsene rispetto a stare), oppure può essere molto distante (come piantarla”, che può significare “finirla, smetterla” rispetto a “piantare” che può significare “piantare un seme”). Comunque, dal punto di vista sintattico, i verbi procomplementari, ad esempio, potrebbero contruirsi diversamente dal verbo base: “intendere” è transitivo, mentre “intendersene” richiede un complemento indiretto (riconoscibile, ad esempio, come complemento di specificazione, “intendersi do che cosa?” “di una cosa, di quella cosa”, nell’ottica dell’analisi logica); “stare” e “starsene”, invece, hanno la stessa costruzione (chiaramente in “starsene, come accennato, si aggiunge una sfumatura emotiva e rafforzativa, grazie anche alla particella “si”, che ha una funzione intensiva, con un accentuato valore di ‘per sé). Anche “andarsene” rientra nella categoria dei verbi procomplementari: e più che avere un significato autonomo, infatti, il gruppo pronominale finale “–sene” arricchisce il verbo base “andare” della stessa sfumatura di partecipazione emotiva del soggetto all’azione riconoscibile in “starsene” (certamente, in “andarsene” il “ne” significa “da questo luogo, da quel luogo”; e in “starsene”, “ne” aggiunge una sfumatura di partecipazione emotiva ed è anche pleonastico). Il procomplementare “aspettarsela”, invece, composto dal verbo “aspettare + la particella pronominale si + il pronome la”, ha la particella ‘si’ con funzione intensiva (con un accentuato valore di ‘per sé’); mentre la particella pronominale ‘la’ ha un funzione di oggetto neutro indeterminato con il significato di ‘ciò’, ovvero (nel caso di ‘la’) ‘questa cosa’, ‘questa faccenda’, ecc. Il “me”, in finale, è sì intensivo (con un accentuato valore di “per me”, “a me”), ma soprattutto parte integrante del verbo stesso e della sua coniugazione (io me l’aspetto, tu te l’aspetti; lui-lei se l’aspetta; noi ce l’aspettiamo; voi ve l’aspettate; loro se l’aspettano, ecc), quindi non ha particolare valore sintattico. Tuttavia, come riconoscere il verbo “di base” di un procomplementare? la risposta è piuttosto semplice… Per capire il verbo di base di un procomplementare, bisogna distinguere e comprendere il significato del verbo stesso e bisogna considerare il senso che vogliamo dare ad una frase (attraverso ovviamente la scelta del verbo). Mi spiego: se prendiamo, per esempio, il procomplementare “andarsene” (con la frase “L’ospite deve andarsene”), il verbo di base non può che essere “andare” (+ “si” + “ne”), che significa “Andare via, allontanarsi (da qui “andarsene”; “si” diventa “se” davanti a “ne”)”; e non “andarsi”, che oltretutto non ha riscontro con la grammatica ufficiale, o “andarci” che è un procomplementare e che ha tutt’altro significato rispetto a ciò che vogliamo intendere nella frase d’esempio. Se invece scrivo “Finalmente me ne sono liberato”, il verbo di base sarà il pronominale “liberarsi” (+ “ne”) con il senso di “levarsi di torno una persona molesta o fastidiosa” e non il verbo, non pronominale, “liberare” che può, fra i tanti sensi, significare “Rimettere in libertà”, ecc. E ancora, se dico “Oggi me ne sto tranquillo a casa”, il verbo di base (più la prima particella “si”, che diventa “se” davanti a “ne”, seconda particella) sarà “stare” (+”si” + “ne”) con il senso di “Rimanere in un luogo, ecc”; e non “starsi”, di uso antico, che significa “fermarsi, arrestarsi: “se i piè si stanno, non stea tuo sermone” (Dante), quindi portatore di tutt’altro significato.
Penso sia tutto corretto.
Caro Filippo Maria, è tutto corretto.
Posizione del pronome riflessivo:
1)”Non ti fidare!”
2)”Non fidarti!”
3)”Fidati!”
…Intanto il verbo è “fidarsi”; poi con l’imperativo positivo (terza frase) il pronome “ti” è in posizione enclitica e si salda graficamente al verbo. Mentre con l’imperativo informale negativo (prima e seconda frase) abbiamo due possibilità: o il pronome è tra il NON e l’imperativo informale negativo (prima frase) o il pronome è unito alla fine dell’imperativo (seconda frase). D’altronde per coniugare un verbo riflessivo all’imperativo negativo, ad esempio con tu, seguiamo la struttura non + verbo all’infinito, senza la e finale + ti PRONOMI RIFLESSIVO, formando una sola parola (seconda frase) oppure non + ti PRONOMI RIFLESSIVI + infinito con la e (prima frase).
Penso sia corretto
Caro Fabrizio, è corretto.
Salve, professore; nella frase “Vorrei curarla senza che lei sei ne accorgesse”, il “vorrei”, che funge da servile, è giusto dire che, rientrando (nonostante sia un servile) nella categoria dei verbi indicanti anche “volontà”, richieda nella subordinata (nel nostro esempio una secondaria esplicita introdotta dalla congiunzione esclusiva “senza che”) il congiuntivo imperfetto “accorgesse” e non il congiuntivo presente “accorga”?
Ho un piccolo dubbio, ma spera sia esatto il mio ragionamento…
Professoressa, rettifico il mio ultimo intervento.
Nella frase “Vorrei curarla senza che lei se ne accorgesse” l’imperfetto “accorgesse” è scorretto e dovremmo utilizzare il congiuntivo presente “accorga” per i seguenti motivi: “Vorrei”, che in questo caso non rientra nella categoria dei verbi indicanti volontà ecc”, è non solo un servile, che combinato con un altro verbo di modo infinito definisce una particolare modalità dell’azione, e il cui obiettivo è attenuare il comando o la richiesta rivolta al lettore con una formula di cortesia (in luogo di “voglio”), ma anche un condizionale “di cortesia” (atto a fare delle richieste in modo gentile e che ha il valore di un presente indicativo, comportandosi allo stesso modo): è come se dicessimo “(Oggi) Voglio (vorrei) curarla senza che lei (sempre oggi) se ne accorga”. Dopotutto, nella frase “Vorrei curarla senza che lei se ne accorga (e non “accorgesse”) il condizionale “Vorrei”, proiettato al presente, implica che il fatto della subordinata “di curarla senza che lei se ne accorga” sia appunto proiettato al presente, all’immediato, e non al passato. A riprova di questa ricostruzione osserviamo che cosa succede se sostituiamo l’indicativo presente al congiuntivo presente nella proposizione secondaria: “Vorrei curarla senza che lei se ne accorga” è del tutto equivalente (ma più formale) a “Vorrei curarla senza che lei se ne accorge”. Mentre se uso “accorgesse” (sbagliato): “Vorrei curarla senza che lei se ne accorgesse” è equivalente, e sarebbe bizzarro e scorretto, a “Vorrei curarla senza che lei se ne accorgeva”. Stesso discorso con una frase al passato, ma stavolta con il congiuntivo imperfetto: “(In passato) Avrei voluto curarla senza che lei (sempre in passato) se ne accorgesse”; “Avrei voluto”, che ha tuttavia una sfumatura di cortesia, è a suo agio perché, figurando nella principale al condizionale composto, e in presenza sempre del servile “voluto”, è un verbo (o espressione) che, coniugato al condizionale passato, ed esprimendo volontà o desiderio, regge il congiuntivo imperfetto in una subordinata, indicante un rapporto di contemporaneità (al passato) con la principale (Avrei voluto curarla). Confermo poi, d’altronde, che la congiunzione esclusiva “senza che” introduce una secondaria esplicita (come negli esempi da me proposti).
Penso sia tutto corretto ora
Caro Filippo Maria, questa regola vale per le oggettive, quindi in questo caso si può usare il congiuntivo presente.
Esatto, quindi penso sia corretto il mio ultimo ragionamento, e cioè quello del “13 Novembre 2023 alle 8:29”
Esatto.
Anche nella frase “Vorrei immaginare che tu sia (e non “fossi”) di Roma” il discorso è il medesimo: e cioè che in primis perché “Vorrei” (che in questo caso non rientra nella categoria dei verbi indicanti volontà, desiderio, opportunità, ecc.) è non solo un servile (che combinato con un altro verbo di modo infinito definisce una particolare modalità dell’azione, e il cui obiettivo è attenuare il comando o la richiesta rivolta al lettore con una formula di cortesia in luogo di “voglio”), ma anche un condizionale “di cortesia” (atto cioè a fare delle richieste in modo gentile e che ha il valore di un presente indicativo, comportandosi allo stesso modo): è come se dicessimo “(Oggi) Voglio (vorrei) immaginare che tu (sempre oggi) sia di Roma”. Dopotutto, nella frase “Vorrei immaginare che tu sia di Roma (e non “fossi”) il condizionale “Vorrei”, proiettato al presente, implica che il fatto della subordinata “che tu sia di Roma” sia appunto proiettato al presente, all’immediato, e non al passato. A riprova di questa ricostruzione osserviamo che cosa succede se sostituiamo l’indicativo presente al congiuntivo presente nella proposizione secondaria: “Vorrei immaginare che tu sei di Roma” è del tutto equivalente (ma meno formale) a “Vorrei immaginare che tu sia di Roma”. Mentre se uso “fossi” (sbagliato): “Vorrei immaginare che tu fossi di Roma” è equivalente, ma sarebbe bizzarro e scorretto, a “Vorrei immaginare che tu eri di Roma”. In secondo luogo, come giustamente mi ha spiegato, il congiuntivo imperfetto non starebbe a suo agio perché la regola secondo cui “quando nella principale c’è un verbo che esprime volontà o desiderio coniugato al condizionale presente o passato (volere, preferire ecc.)” vale per le oggettive, introdotte dal verbo autonomo “volere”/”vorrei” (es. “Vorrei che tu fossi -e non “sia”- di Roma”), di conseguenza nel nostro esempio iniziale si può usare il congiuntivo presente “sia”. In alternativa alla frase “Vorrei immaginare che tu sia di Roma” potremmo scrivere, cogliendo sempre le diverse sfumature, ma dal significato similare, “Spero che tu sia di Roma” o “Mi auguro che tu sia di Roma” oppure, più semplicemente, “Immagino che tu sia di Roma”.
Penso sia tutto giusto
Caro Filippo Maria, è giusto.
Professoressa, volevo terminare aggiungendo che sia in “Vorrei immaginare che tu sia di Roma” che in “Vorrei che tu fossi di Roma” sono presenti due subordinate oggettive: e cioè “che tu sia di Roma”, nella prima, e “che tu fossi di Roma”, nella seconda. La differenza sostanziale tra i due periodi, in primo luogo, è che nel primo (di periodo) “Vorrei” funge da modale (“vorrei immaginare…”); mentre nel secondo “vorrei” funge da verbo autonomo (ecco perché, in aggiunta al discorso “quando nella principale c’è un verbo che esprime volontà o desiderio coniugato al condizionale presente o passato- volere, preferire ecc.-, il congiuntivo imperfetto nella subordinata). L’altra differenza tra i due periodi, in secondo luogo, sta nel fatto che la prima subordinata oggettiva dipende dal verbo “immaginare” (preceduto, d’accordo, dal modale “vorrei”); mentre la seconda subordinata oggettiva dipende da “vorrei” che, come accennato, funziona da verbo autonomo e non da modale. Analizzando la prima frase: ”Vorrei immaginare”, proposizione principale; “che tu sia di Roma”, subordinata oggettiva esplicita al congiuntivo presente (sia) in quanto proposizione dipendente retta da “immaginare” (il verbo “immaginare” può reggere oltretutto il congiuntivo nella subordinata)”; in finale “vorrei” è al contrario un modale legato strettamente a “immaginare”, cui però bisogna far riferimento per scelta del verbo (in questo il congiuntivo) nella subordinata.
Ora penso sia completo
Professoressa, mi chiedevo se fosse corretta questa mia aggiunta:
“…Volevo terminare aggiungendo che sia in “Vorrei immaginare che tu sia di Roma” che in “Vorrei che tu fossi di Roma” sono presenti due subordinate oggettive: e cioè “che tu sia di Roma”, nella prima, e “che tu fossi di Roma”, nella seconda. La differenza sostanziale tra i due periodi, in primo luogo, è che nel primo (di periodo) “Vorrei” funge da modale (“vorrei immaginare…”); mentre nel secondo “vorrei” funge da verbo autonomo (ecco perché, in aggiunta al discorso “quando nella principale c’è un verbo che esprime volontà o desiderio coniugato al condizionale presente o passato- volere, preferire ecc.-, il congiuntivo imperfetto nella subordinata). L’altra differenza tra i due periodi, in secondo luogo, sta nel fatto che la prima subordinata oggettiva dipende dal verbo “immaginare” (preceduto, d’accordo, dal modale “vorrei”); mentre la seconda subordinata oggettiva dipende da “vorrei” che, come accennato, funziona da verbo autonomo e non da modale. Analizzando la prima frase: ”Vorrei immaginare”, proposizione principale; “che tu sia di Roma”, subordinata oggettiva esplicita al congiuntivo presente (sia) in quanto proposizione dipendente retta da “immaginare” (il verbo “immaginare” può reggere oltretutto il congiuntivo nella subordinata)”; in finale “vorrei” è al contrario un modale legato strettamente a “immaginare”, cui però bisogna far riferimento per scelta del verbo (in questo il congiuntivo) nella subordinata”.
Ora penso sia completo
Caro Filippo Maria, è corretto.