27 Ottobre 2011
Ripassiamo con questo esercizio l’uso del congiuntivo nelle frasi dipendenti.
Buon test!
Prof. Anna
Seleziona la risposta corretta fra quelle disponibili. Se rispondi bene, vedrai lo sfondo diventare di colore verde.
Ripassiamo con questo esercizio l’uso del congiuntivo nelle frasi dipendenti.
Buon test!
Prof. Anna
Solo l’ultimo falso e non capisco perche la seconde parte della frase non domanda il conjunctivo. Vorebbe spiegarmi prof. Anna?
Cara Maria, nella prima frase c’è il congiuntivo perché è introdotta da “non perché” che vuole il congiuntivo, mentre la seconda è introdotta solo da “perché” che invece vuole l’indicativo e non il congiuntivo.
Complimenti per il tuo impegno, vedrai che farai molti progressi.
A presto
Prof. Anna
Sono veramente contenta perchè non ho fatto neanche um errore.- La concordanza dei verbi in italiano, mi risultano abbastanza difficile.- Perciò mi piace vedere che, da poco a poco, e con la sua inestimabile aiuta, sto migliorando.- Tante grazie.-
non ho fatto nessuno errore 🙂
In genere non lo sbaglio, ma ogni tanto c’è qualche situazione dove non mi so decidere. Per esempio:
Un treno parte per Roma. (ok)
Cerco un treno che parta per Roma. (ok)
C’è un treno che parte/parta per Roma? (?)
Caro Fabrizio, sono corrette sia la frase con l’indicativo sia quella col congiuntivo, il congiuntivo “che parta” attribuisce alla frase una sfumatura dubitativa.
Un saluto
Prof. Anna
tutti verdi . !!!! sono contenta perche da quando vivo a roma, sono toscana, faccio un po’ di confusione
Molto bene Eletta!
A presto
Prof. Anna
Salve, sono sempre Alessandro; abbiamo capito che si può dire, rispetto al congiuntivo nelle relative, “Vorrei un marito che fosse ben pulito e che avesse i denti bianchi”, “Voglio un marito che sia ben pulito e che abbia i denti bianchi”; oppure “Voglio il marito che è ben pulito e che ha i denti bianchi”… Ma allora possiamo anche dire “Vorrei il marito che è ben pulito e che ha i denti bianchi”? Certo, in quest’ultima frase, se dovessi esprimere lo stesso concetto, adottarei allora la forma “Voglio il marito che è ben pulito e che ha i denti bianchi”. Ciononostante le volevo chiedere se fosse accettabile o meno la frase con il condizionale presente nella reggente e l’indicativo presente nelle subordinate relative? D’altronde ho capito che nella prima frase desidero “un marito in generale, ma che abbia certe caratteristiche (allora è corretto il congiuntivo); nella seconda stesso discorso, e cioè che desidero “un marito in generale, ma che abbia certe caratteristiche (allora il congiuntivo è corretto); nella terza invece desidero proprio “quel preciso marito che ha proprio quelle caratteristiche, in quanto l’ho visto con i miei occhi”; ragion per cui, relativamente a quest’ultimo ragionamento, credo che la frase con il condizionale presente nella principale e l indicativo presente nelle subordinate sia sì corretta, ma non stilisticamente armoniosa. D’altra parte gli articoli (o determinativi od indeterminativi) prima delle relative, anche se non è sempre certo, possono aiutarci nella scelta del tempo nelle stesse relative appunto…
Potrebbe esser corretto?
Caro Alessandro, userei in ogni modo l’articolo indeterminativo: “Voglio un marito che è ben pulito e che ha i denti bianchi”, in realtà per rendere tutto più semplice e scorrevole si potrebbe non usare una subordinata: ” “Voglio il marito ben pulito e che ha i denti bianchi”; in ogni modo è corretto il periodo con il condizionale e il presente nella relativa “Vorrei un marito che è ben pulito e che ha i denti bianchi”.
Un saluto
Ok; mentre in queste due frasi: “Vorrei un marito che fosse ben pulito e che avesse i denti bianchi” e “Vorrei un marito che sia ben pulito e che abbia i denti bianchi”, ho letto che “Se nella reggente figura il condizionale presente di un verbo indicante volontà, desiderio, opportunità (come volere, desiderare, pretendere, esser conveniente e simili;…), la dipendente si costruisce col congiuntivo imperfetto più spesso che col congiuntivo presente” (L. Serianni, cit., p. 562). La costruzione più opportuna sarà pertanto, in tal caso, quella che vede il congiuntivo imperfetto all’interno della proposizione subordinata e quindi, nello specifico: “Vorrei un marito che fosse ben pulito e che avesse i denti bianchi (quella con il congiuntivo presente però non è comunque scorretta: “Vorrei un marito che sia ben pulito e che abbia i denti bianchi”).
Corretto?
Caro Alessandro, corretto.
Salve, di nuovo, professoressa. Credo d’aver capito totalmente la differenza e la scelta fra il congiuntivo presente o il congiuntivo imperfetto nelle relative. E’ un ragionamento un po’ lunghino, ma cui tengo tantissimo.
Congiuntivo: imperfetto o presente nelle relative.
Alcuni quesiti riguardano l’impiego del congiuntivo presente o imperfetto all’interno di proposizioni subordinate relative. Il primo quesito chiede infatti quale uso sia corretto tra ‘’Vorrei un paese in cui non ci sia più cattiveria” e “Vorrei un paese in cui non ci fosse più cattiveria’’.
Luca Serianni precisa che, ‘’Se nella reggente figura il condizionale presente di un verbo indicante volontà, desiderio, opportunità, la dipendente si costruisce col congiuntivo imperfetto più spesso (non c’è nessun giudizio di preferibilità, solo un’oggettiva costatazione di frequenza d’uso) che col congiuntivo presente” (L. Serianni, cit., p. 562). La costruzione ‘’più opportuna e comune’’ sarà pertanto, in tal caso, quella che vede il congiuntivo imperfetto all’interno della proposizione subordinata relativa, e quindi nello specifico: “Vorrei un paese in cui non ci fosse più cattiveria’’.
D’altra parte, secondo me, per quanto riguarda il tempo da utilizzare, la proposizione relativa è particolarmente slegata dalla consecutio temporum.
Facciamo un esempio: ‘’Servirebbe una panchina dove ci si possa / potesse sedere’’; ‘’Servirebbe una panchina dove ci si potesse sedere’’, non dico che sia scorretta, ma è incoerente, perché il verbo della reggente (‘’servirebbe’’, nonostante indichi ‘’necessità e occorrenza’’, alla stregua quindi dei verbi indicanti volontà, desiderio, opportunità e simili) implica che l’evento della relativa sia presente o futuro, non passato. La scelta migliore perciò è il congiuntivo presente: ‘’Servirebbe una panchina dove ci si possa sedere’’; perché lo stato dell’essere è presente, come indica il condizionale presente (con una proiezione nel futuro). Oppure nella frase “Vorrei un paese in cui non ci fosse più cattiveria’’, la presenza del condizionale ‘’vorrei’’ (nonostante indichi ‘’volontà’’) nella proposizione reggente non richiede tassativamente l’uso del congiuntivo imperfetto nella proposizione relativa dipendente: questa proposizione, infatti, è particolarmente svincolata dalla consecutio temporum. Perciò potremmo scrivere anche “Vorrei un paese in cui non ci sia più cattiveria’’ (anche qui lo stato dell’essere è presente, e con una proiezione nel futuro).
Certo, nella costruzione della relativa ‘’vorrei X che’’ (‘’vorrei qualcuno che’’) agisce il modello della completiva ‘’vorrei che X’’ (‘’vorrei che fosse’’).
Insomma, la preferenza sempre più marcata per il congiuntivo imperfetto in quest’ultimo tipo di proposizione in dipendenza dal condizionale (anche di verbi non di desiderio, opportunità, necessità) si trasmette anche all’altro tipo (la relativa), senza, però, che ci sia una ragione sintattica per questo. Si noti che la preferenza per il congiuntivo imperfetto nella completiva è a sua volta dovuta al modello del periodo ipotetico, nel quale il condizionale presente è di norma associato proprio al congiuntivo imperfetto (vorrei che tu fossi < vorrei se tu fossi; mi aspetterei che tu venissi < mi aspetterei se tu venissi). Di conseguenza, Se consideriamo questi passaggi, è prevedibile che il senso ipotetico rimanga percepibile anche nella relativa dipendente da un condizionale.
In sintesi, facendo un altro esempio: "Guarderei volentieri un film che abbia come protagonista Al Pacino" è la forma attesa per la relativa al presente; mentre "Guarderei volentieri un film che avesse come protagonista Al Pacino" è una forma che ricalca il periodo ipotetico del secondo tipo (è come se dicessimo ‘’se ci fosse un film con al pacino come protagonista, lo guarderei volentieri’’), ma che, rimanendo nel costrutto della proposizione relativa, indica che la qualità del film (avere come protagonista Al Pacino) riguarda il passato, e ciò sarebbe è un po' bizzarro, rispetto alla reggente, che è al condizionale presente.
A riprova di questa ricostruzione osserviamo che cosa succede se sostituiamo l'indicativo al congiuntivo nella proposizione relativa: ‘’Guarderei un film che abbia come protagonista…’’ è del tutto equivalente (ma più formale) a ‘’Guarderei un film che ha come protagonista…’’; mentre ‘’Guarderei un film che avesse come protagonista…’’ è equivalente a ‘’Guarderei un film che aveva come protagonista…’’.
Tuttavia, non mi spingerei fino a definire sbagliato il congiuntivo imperfetto nella proposizione relativa retta da un condizionale: vero è, infatti, che il modello del periodo ipotetico è forte e che molti parlanti attribuiscono all'imperfetto, per via di questo modello, un maggiore grado di ipoteticità, nella relativa, rispetto al presente.
Stabilito che la ragione della preferenza per l'imperfetto nella completiva non è di natura semantica, non è comunque facile stabilire quale sia la ragione effettiva. Un fattore determinante è, appunto, certamente il modello del periodo ipotetico, che induce il parlante ad associare meccanicamente il condizionale presente al congiuntivo imperfetto.
Dopo tutto, la lingua è fatta di percezione: non ci sono strutture obbligate per natura, ma soltanto strutture alle quali gruppi di parlanti assegnano concordemente gli stessi significati; e finché si potrà scegliere tra il presente e l'imperfetto, però, propenderei ancora per il presente; oltre a essere la forma sintatticamente attesa, si noti, il presente, oltretutto, evita l'ambiguità tra ‘’Guarderei un film che avesse (= 'eventualmente ha')’’ e ‘’Guarderei un film che avesse (= 'aveva')’’.
Al contrario, sebbene non si possa definire errato il congiuntivo presente in dipendenza da verbi di desiderio, opportunità, necessità al condizionale, questa scelta è rischiosa perché verrebbe giudicata come errata dalla maggioranza dei parlanti.
D’altro canto la frase "Vorrei un'auto che avesse il cambio automatico" è sintatticamente non giustificata. Infatti la proposizione relativa è indipendente dalla consecutio temporum, per cui l'imperfetto al suo interno indica proprio un evento o uno stato passato. La frase così costruita, quindi, lascia intendere che il parlante voglia adesso un'auto che in passato aveva il cambio automatico: una vera bizzarria; pertanto La costruzione più attesa è "Vorrei un'auto che abbia il cambio automatico" (o anche, in un contesto più colloquiale, ‘’che ha il cambio automatico’’; non certo ‘’che aveva il cambio automatico’’). Ovviamente, su questa frase agisce l'influenza della costruzione discussa sopra ‘’vorrei che + congiuntivo imperfetto’’ (vorrei che la mia auto avesse…), ma in questo caso il modello è fuorviante e va tenuto distinto da questa costruzione con una relativa.
Infine, entrambe le costruzioni (congiuntivo presente e imperfetto nelle relative rispetto ad un condizionale presente nella reggente) credo fortemente che siano esatte; ma con due leggere, ma notevoli, sfumature: visto che i parlanti sentono come più appropriato il congiuntivo imperfetto in quasi tutti i casi, compreso questo, il congiuntivo imperfetto si può considerare accettabile; di contro la norma della consecutio, comunque, vige ancora, e per cui, in un contesto formale, è meglio costruire la frase con il congiuntivo presente (“Vorrei un marito che fosse ben pulito e che avesse i denti bianchi (piu’ che accettabile); “Vorrei un marito che sia ben pulito e che abbia i denti bianchi” (attestata e corretta).
Sono certo che sia corretto, almeno spero…
Caro Alessandro, davvero un ottimo ragionamento.
Sono contento che sia corretto il mio ultimo ragionamento; e se non le dispiace, vorrei condividerne un ultimo (il quale sarebbe poi il continuo).
Siamo d’accordo sulla scelta tra il congiuntivo imperfetto e il presente (scelta corretta) nelle relative, “rette” da un condizionale presente (esprimente o meno “volontà”, “desiderio”, etc ) nella reggente.
Ma al condizionale passato come ci comporteremmo? mi sono fatto un’idea…
Esempio:
“Avrei voluto una macchina che avesse/abbia avuto il cambio automatico”.
Considerando che il condizionale passato equivarrebbe, usando un po’ di fantasia, all imperfetto indicativo (“volevo) o, talvolta, al trapassato prossimo (“avevo voluto”), opterei, nella relativa, per il congiuntivo imperfetto, dando alla frase un aspetto durativo nel passato. D’altronde il congiuntivo passato farebbe riferimento ad un evento sì passato, ma concluso. In questo caso, la differenza tra queste due forme sta nell’aspetto: con il congiuntivo imperfetto si indica uno stato od un’abitudine, anche nel desiderio e nella volontà di aver voluto qualcosa; mentre col congiuntivo passato viene illustrato un evento ben determinato nel passato e terminato, e quindi non durativo. D’altro canto, per quanto concerne la relativa, il congiuntivo imperfetto “avesse”, con un po’ di fantasia, equivarrebbe all’imperfetto indicativo “aveva”; viceversa, il congiuntivo passato “abbia avuto”, per una questione di significato e di logica, si avvicinerebbe non tanto al passato prossimo “ha avuto”, quanto al trapassato prossimo “aveva avuto”.
Insomma scriverei “Avrei voluto una macchina che avesse il cambio automatico”; frase che, per aiutarci nella comprensione, potrebbe trasformarsi in “Volevo una macchina che aveva il cambio automatico”.
Chiudo dicendo che la proposizione relativa è indipendente dalla consecutio temporum, come ben sappiamo; ma non possiamo non considerare il tempo passato (“Avrei voluto”) in quella che è la principale.
D’altra parte non avremmo mai potuto scrivere “Avrei voluto una macchina che abbia il cambio automatico, sarebbe una vera e propria bizzarria: i tempi esistono e come tale vanno considerati.
Ora si che è completo…
Caro Alessandro, è esatto.
In dipendenza delle espressioni “non c’è dubbio che” e “non dubito che” è preferibile il congiuntivo o l’indicativo? Io credo l’indicativo, anche se il congiuntivo non è del tutto scorretto, visto che, rispetto alle espressioni suddette, molte persone ne fanno largo uso. Bisogna chiarire però che la presenza del dubbio porta al congiuntivo (dubito che sia vivo), l’assenza del dubbio porta all’indicativo (non dubito che è cosi); d’altronde è la solita differenza tra frase affermativa (l’esistenza del dubbio) e frase negativa (la mancanza del dubbio). Ragion per cui io andrei tranquillo con l’indicativo negli altri casi negativi: Non c’è dubbio che fra due minuti è qui anche lui; E’ fuori dubbio che ci sto. Oltretutto in rete ho letto che le nostre espressioni (“non c’è dubbio che” e “non dubito che”) con la negazione, appunto, esprimono assoluta certezza: Non dubitare che, essere sicuro che: non dubiti che verrò a trovarla. In altre parole, la scelta fra l’uso del congiuntivo o dell’indicativo nelle subordinate dipendenti, rispetto ai nostri esempi, è relativamente aperto, e dipende, per me, fortemente dall’intenzione comunicativa del soggetto; e va detto, però, che in situazioni come queste, nella scelta tra indicativo e congiuntivo, l’elemento della soggettività del parlante o dello scrivente può giustificare l’alternativa a quanto è ritenuto più logico, tradizionale, diffuso. Perciò potremmo dire ‘’Non dubito che Luigi è rientrato a casa in orario (= Sono certo che; esprimendo assoluta certezza, e proprio perché io che parlo presento un fatto come se per me fosse definitivamente certo e reale, allora il modo indicativo per me è la soluzione naturale)’’ ma anche ‘’Non dubito che Luigi sia rientrato a casa in orario (se invece voglio comunque sottolineare l’elemento della soggettività [e di come sia soggettiva la mia certezza], della partecipazione emotiva anche nell’ambito di una cosa data per certa [non dubito, sono certo]; allora può essere anche stilisticamente più raffinato scegliere il congiuntivo, che è il tipico modo della soggettività, oltre che dell’incertezza e del dubbio)”. In soldoni, entrambe le scelte, indicativo e congiuntivo, sono corrette, anche se preferisco l’indicativo in questo caso…
Va bene prof?
Caro Riccardo il tuo ragionamento è corretto.
Anche in questa frase “Non metto in dubbio che”, credo che siano giusti sia l indicativo sia il congiuntivo; rispetto a tutto il discorso suddetto:
“Non metto in dubbio che è stato lui (sono certo che)”;
“Non metto in dubbio che sia stato lui (se invece voglio comunque sottolineare l’elemento della soggettività, e di come sia soggettiva la mia certezza; della partecipazione emotiva anche nell’ambito di una cosa data per certa, allora può essere anche stilisticamente più raffinato scegliere il congiuntivo, che è il tipico modo della soggettività, oltre che dell’incertezza e del dubbio)”.
Caro Riccardo, i verbi (o le costruzioni impersonali) che esprimono sentimenti e stati mentali richiedono il congiuntivo.
Scusi, ma l ampio ragionamento che ho fatto, con il quale era d’accordo, direbbe il contrario; o meglio, rispetto alla sfumatura che vogliamo dare, entrambe le soluzioni (indicativo e congiuntivo) dovrebbero essere corrette. Le ricondivido il mio ragionamento:
“In dipendenza delle espressioni “non c’è dubbio che” e “non dubito che” è preferibile il congiuntivo o l’indicativo? Io credo l’indicativo, anche se il congiuntivo non è del tutto scorretto, visto che, rispetto alle espressioni suddette, molte persone ne fanno largo uso. Bisogna chiarire però che la presenza del dubbio porta al congiuntivo (dubito che sia vivo), l’assenza del dubbio porta all’indicativo (non dubito che è cosi); d’altronde è la solita differenza tra frase affermativa (l’esistenza del dubbio) e frase negativa (la mancanza del dubbio). Ragion per cui io andrei tranquillo con l’indicativo negli altri casi negativi: Non c’è dubbio che fra due minuti è qui anche lui; E’ fuori dubbio che ci sto. Oltretutto in rete ho letto che le nostre espressioni (“non c’è dubbio che” e “non dubito che”) con la negazione, appunto, esprimono assoluta certezza: Non dubitare che, essere sicuro che: non dubiti che verrò a trovarla. In altre parole, la scelta fra l’uso del congiuntivo o dell’indicativo nelle subordinate dipendenti, rispetto ai nostri esempi, è relativamente aperto, e dipende, per me, fortemente dall’intenzione comunicativa del soggetto; e va detto, però, che in situazioni come queste, nella scelta tra indicativo e congiuntivo, l’elemento della soggettività del parlante o dello scrivente può giustificare l’alternativa a quanto è ritenuto più logico, tradizionale, diffuso. Perciò potremmo dire ‘’Non dubito che Luigi è rientrato a casa in orario (= Sono certo che; esprimendo assoluta certezza, e proprio perché io che parlo presento un fatto come se per me fosse definitivamente certo e reale, allora il modo indicativo per me è la soluzione naturale)’’ ma anche ‘’Non dubito che Luigi sia rientrato a casa in orario (se invece voglio comunque sottolineare l’elemento della soggettività [e di come sia soggettiva la mia certezza], della partecipazione emotiva anche nell’ambito di una cosa data per certa [non dubito, sono certo]; allora può essere anche stilisticamente più raffinato scegliere il congiuntivo, che è il tipico modo della soggettività, oltre che dell’incertezza e del dubbio)”. In soldoni, entrambe le scelte, indicativo e congiuntivo, sono corrette, anche se preferisco l’indicativo in questo caso…”
Caro Riccardo è chiaro che in questo casi, come hai sottolineato, la scelta tra i due modi verbali è una scelta personale che dipende dal registro linguistico, dallo stile, dal contesto e quindi entrambi sono corretti.
Forse la presenza della negazione («non») fa sí che si usi piú spesso il congiuntivo che l’indicativo (al di là del criterio certezza/incertezza che non è sempre discriminante nella scelta tra indicativo e congiuntivo e non bisogna quindi prenderlo come una regola assoluta). Anche perché, se le parole hanno un senso, “Non metto in dubbio che…” Esprime certamente un sentimento od uno stato mentale, ma non può esprimere incertezza; semmai esprime assoluta sicurezza! ciò non toglie che la sintassi richieda ugualmente l uso del congiuntivo, ma non per i motivi tradizionali: e cioè l espressione da parte della reggente di un dubbio, ecc. Si può tutt’al più assimilarlo (nel senso di considerarlo simile) al caso in cui la reggente esprime una negazione; un po’ come dire “Io nego che si metta in dubbio che sia stato lui”.
Spero d essere stato chiaro…
“Non è perché” regge il congiuntivo;
“È perché” regge l indicativo;
…”Non è perché siano troppo deboli”;
…”È perché siete intrappolati qui con noi;
D’altronde “Non è perché” nega l esistenza di un’azione. Mentre “È perché” implica l esistenza di un’azione.
E poi una conferma rispetto a questa frase: “Pensate che sono morte tante persone”, qui l indicativo è corretto perché “pensate” ha il significato di “comprendete”, “rendetevi conto” che sono morte tante persone. Diversamente “Pensate che siano morte tante persone?” il congiuntivo è corretto, perché vogliamo esprimere un dubbio, una perplessità oppure un’esitazione.
Spero sia tutto corretto…
Caro Gianluigi, tutti i tuoi ragionamenti sono corretti.
“Essere quasi sicuri che” può reggere il congiuntivo, giusto?
“Sono quasi sicuro che sia vivo”
Caro Rocco, è esatto.
“Dove” con il significato di ” Nel caso in cui, qualora, se, ove” introduce una frase ipotetica con il verbo al congiunt.: “Dove non ti convenisse la mia proposta, agirai diversamente”; “Dove fosse possibile, vorrei trascorrere una piacevole serata in compagnia”. Mentre in una relativa al passato, preceduto da un sostantivo, il pronome relativo “dove” con il senso di “in cui”: “Cercavamo un luogo dove (in cui) fosse possibile conciliare le necessità di tutti noi” (in questa relativa il congiuntivo imperfetto, in relazione al passato, ha valore finale). Al presente, sempre come relativa: “Cerco un paese in cui sia possibile garantire la sicurezza di un individuo” (valore finale).
Caro Mirko, è corretto.
Sono contento che le mie risposte sono state tutte positive, verdi.
Molto bene Antonino, ottimo risultato.
A presto
Salve, ho tre frasi da sottoporle:
1)Ti ci riderei
2)Pensavi che non avrei speso una lira?
3)Non immagini da quanto stessi aspettando questo momento
…Nella prima, al di là del senso della frase, il “ci”, quello che m’interessa, funge da pronome dimostrativo e con il significato di “su ciò”: e cioè “Ti riderei su ciò”. Nella seconda stiamo esprimendo, con la subordinata oggettiva, posteriorità al passato; e nella terza frase il “quanto” introduce, insieme al verbo “immaginare”, un’interrogativa indiretta (al congiuntivo) che esprime anteriorità (con valore durativo) rispetto al presente “Non immagini” della principale.
Mi sembra tutto corretto…
Caro Alberto, la prima frase non è corretta: che funzione avrebbe il pronome “ti”?; il resto è corretto.
Il “ti” avrebbe il significato di “a te”… “Riderei su ciò a te”, lo so, non ha senso la frase, ma volevo capirne alcune parti grammaticali…
La costruzione “riderei a te” non è corretta, basta dire “ci riderei su”.
“Ci riderei su” significa “riderei sopra a ciò”, giusto? e se scrivessi “Ci riderei” nel senso “riderei su ciò” (quindi senza il “su”)? sarebbe altrettanto corretto?
No, non lo sarebbe, l’espressione è “ridere su qualcosa”.
“Non è che andasse per quel motivo”
…la subordinata esprime anteriorità (con valore durativo) rispetto alla principale che è al presente.
Mi sembra giusto
Cara Michela, è corretto.
“Tempo e modo della proposizione relativa rispetto alla consecutio temporum”:
1)”Potresti raccontarmi tutto quello che tu voglia / vuoi / vorrai / vorresti”.
2)”Servirebbe una panchina dove ci si possa / potesse / può / potrebbe sedere”.
Come scrissi in un altro post, il tempo di una subordinata relativa è “svincolato dalla consecutio temporum”: ciò significa che il tempo e il modo di una relativa non seguono il tempo della principale (che potrebbe fungere anche da reggente), ma bensì ne seguono solo il tempo cronologico; e in più, non si riferiscono all’intera proposizione reggente, ma ad un solo elemento detto antecedente: il pronome relativo “che”. In sintesi, all’interno della proposizione relativa, particolarmente slegata dalla consecutio temporum, i tempi e i modi segnalano il momento in cui avviene l’evento: e quindi “nel presente, nel passato o nel futuro”, e non quale rapporto temporale ci sia tra questo evento e l’evento della reggente. Per meglio capire, nel primo periodo (frase numero 1) la relativa all’indicativo presente “che tu vuoi”, pertanto, riguarda il presente (“…che tu vuoi adesso, in questo preciso momento”); la relativa “che tu vorrai”, invece, riguarda il futuro (“…che tu vorrai prossimamente, nell’avvenire”); la relativa al congiuntivo presente “…che tu voglia”, invece, riguarda sempre il presente ma con valore direi limitativo, e in questo caso la frase relativa pone delle limitazioni, dei requisiti o delle condizioni; quella al condizionale “che tu vorresti”, meno comune, è comunque potenziale, o meglio condizionata (presuppone, cioè, un evento, anche sottinteso, che renda possibile l’avverarsi dell’evento al condizionale: “…che tu vorresti, se, qualora ne avessi la possibilità”). Per quanto concerne la frase numero due, il ragionamento è pressappoco il medesimo (“dove” è anch’esso un pronome relativo e significa “in cui”, preceduto da un sostantivo, guarda “panchina”): la relativa all’indicativo presente “…dove ci si può sedere”, pertanto, riguarda il presente (“…dove ci si può sedere, adesso, concretamente, in questo preciso istante”); la relativa al congiuntivo presente “…dove ci si possa sedere”, invece, riguarda sempre il presente ma con valore direi limitativo, e in questo caso la frase relativa pone delle limitazioni, dei requisiti o delle condizioni (“Servirebbe una panchina dove ci si possa sedere” = e quindi “la condizione è quella che ci si possa sedere, probabilmente per stare comodi e che sia libera”); quella al condizionale “…dove ci si potrebbe sedere”, meno comune, è comunque anch’essa potenziale, o meglio condizionata (presuppone, cioè, un evento, anche sottinteso, che renda possibile l’avverarsi dell’evento al condizionale: “…dove ci si potrebbe sedere, se, qualora la trovassimo”). Viceversa, la frase col congiuntivo imperfetto “potesse” (“Servirebbe una panchina dove ci si potesse sedere”), nonostante il verbo della reggente ‘’Servirebbe’’ indichi ‘’necessità e occorrenza’’, alla stregua quindi dei verbi indicanti volontà, desiderio, opportunità e simili, e che richiederebbero sì il congiuntivo imperfetto ma non in una relativa (dipesa oltretutto da un condizionale presente nella reggente; se fosse dipesa invece dal condizionale passato, allora lì il congiuntivo imperfetto sarebbe stato a suo agio), bensì, ad esempio, in un’oggettiva, è incoerente, perché il verbo della reggente (“Servirebbe”) implica che l’evento della relativa sia presente o futuro, non passato (difatti il congiuntivo imperfetto, a meno che non si tratti di un periodo ipotetico della possibilità, si usa principalmente per esprimere un’azione passata, esprimente anche insicurezza). Di conseguenza, la scelta migliore perciò è il congiuntivo presente: ‘’Servirebbe una panchina dove ci si possa sedere’’; perché lo stato dell’essere è presente, come indica il condizionale presente (con una proiezione nel futuro). Ovviamente, il congiuntivo presente nelle nostre costruzioni, oltre alle sfumature “finali, limitativi o consecutive”, figura spesso (non sempre) come un’alternativa più formale all’indicativo e non aggiunge nessun significato specifico alla frase; è come se il congiuntivo avesse appunto una funzione di innalzamento del registro. Certo, nella costruzione della relativa ‘’Servirebbe una panchina dove ci si possa…” agisce il modello della completiva ‘’Servirebbe che una panchina fosse…’’, ragion per cui la preferenza sempre più marcata per il congiuntivo imperfetto in quest’ultimo tipo di proposizione in dipendenza dal condizionale (anche di verbi non di desiderio, opportunità, necessità) si trasmette anche all’altro tipo (la relativa), senza, però, che ci sia una ragione sintattica per questo. A riprova di ciò si noti che la preferenza per il congiuntivo imperfetto nella relativa (“Servirebbe una panchina dove ci si potesse…”) è a sua volta dovuta al modello del periodo ipotetico, nel quale il condizionale presente è di norma associato proprio al congiuntivo imperfetto (“Servirebbe che una panchina fosse…” < "Servirebbe se una panchina fosse…", ecc.). Di conseguenza, se consideriamo questi passaggi, è prevedibile che il senso ipotetico rimanga percepibile anche nella relativa dipendente da un condizionale. In finale, rispetto ai miei sovrascritti ragionamenti, le frasi sono tutte corrette, fuorché quella in cui è presente il congiuntivo imperfetto "potesse".
Penso sia giusto tutto quanto, professoressa…
Caro Filippo Maria, è corretto.